STORIE DI COVER BAND

I Nocturne a Barcellona, da sinistra Mario Greco, Marco Venzo, Ombretta Rossi, Maurizio Battistella.

Si formano e si sciolgono. Si ricostituiscono e tra loro si rimescolano. Sono le cover band (o ‘tribute band’, come preferiscono farsi chiamare) che imperversano nei circuiti underground dell’Emilia Romagna e del Lombardo-Veneto.

Le loro sono storie di vita, prima che  musicali: perché quando l’amore per certi artisti fa parte di te, quella musica diventa vita, la tua vita, e a tutti i limiti del progetto non si pensa più. A dispetto di mille problemi si sale sul palco, sempre e comunque, percorrendo centinaia di chilometri, caricando e scaricando strumenti da automobili piene zeppe come furgoni, spesso per pochi soldi, poche speranze. Ma con un amore nel cuore a cui non puoi resistere, che non puoi sopprimere, anche quando tutto consiglierebbe di farlo, o almeno, di provarci.

L’idea di una cover band è, per sua natura, un progetto perdente. In sè stessa nasce già con un limite.  Si decide di portare in scena la musica dei propri idoli di fronte a un pubblico che nel migliore dei casi è composto da ‘reduci’, sopravvissuti di un’altra era musicale, e che per questo trascorre queste serate in un clima di visibilio collettivo, divorato dalla nostalgia, dalla propria storia generazionale;

E nel peggiore dei casi è composto da occasionali avventori, testimoni di un’altra età, ragazzi distratti che non hanno conosciuto Bowie e Lou Reed, che non si emozionano di fronte a ritmi forsennati o atmosfere oscure, a scenari di un altro mondo in cui il disagio, la solitudine, l’emarginazione, o anche la protesta collettiva, sociale, politica, culturale, diventavano anche estetica, espressione artistica, ricerca sonora.

Cosimo Mitrugno, Permanent (24.04.2022, Bologna, Locomotiv). G.Basile © Geophonìe

Il pubblico dei più giovani non è traghettato verso quegli scenari artistico-sociali descritti dagli artisti illuminati che le cover band ancora celebrano e onorano con la loro militanza sui palchi: ma non ha alcuna importanza. Quando i grandi amori sono davvero grandi, sono eterni. E le cover band sanno di non potersi sottrarre a questo imperativo categorico che le identifica,  che caratterizza le storie personali di questi musicisti off, ma in fondo poi non così off come può apparire.

Molti di loro hanno studiato per anni e anni, hanno provato migliaia di volte quei brani che i loro idoli avevano regalato al mondo, e a volte sanno suonarli persino meglio degli originali. Per questo certe serate sono commoventi, serate di testimonianza, cariche di fierezza, e dunque molto più vere, vive, autentiche dello show-business finto e stereotipato cui assistiamo oggi.

Alice Costantini, Permanent (Cotignola, 12.02.2022, Beer Garden). Giuseppe Basile © Geophonìe

 

 

 

I Permanent, sbalorditiva tribute band veneta, dopo circa 150 serate in giro per tutto il Nord Italia, raccontano imprese che hanno ormai costituito un tassello glorioso delle loro storie personali, imprese che non si dimenticano. Come quella di una notte a Berlino, ospiti di un prestigioso club dark wave, e con la benedizione di Peter Hook. Sul palco, uno dei componenti (il chitarrista) esegue insieme ai suoi compagni i capolavori di Ian Curtis davanti a un pubblico europeo attento e qualificato, mentre sua moglie sta per partorire in Italia, ma gli ha detto ugualmente di andare, ci sono cose che si debbono fare per forza, a cui non puoi sottrarti. S’incrociano sogni e destini, la nascita di un figlio e la luce del palco rappresentano in quello stesso momento uno zenith personale, un traguardo, un momento di gloria da vivere e che resterà.

E i Nocturne, tribute band anch’essa veneta che porta in scena il repertorio di Siouxsie And The Banshees, raccontano di essersi  formati quasi per gioco: una volta sul palco, però, la band realizza la propria potenza e la passione del pubblico, e quindi ora prosegue, prosegue, sulle strade di una dark wave che si scoprono ancora così lunghe e profonde, animate dai fantasmi di ieri, dai tanti reduci, ma anche dai nuovi cultori, gente di tutte le età, appassionati sparsi in tutta Europa che all’improvviso, in un giorno di questi da poco trascorso, convocano i Nocturne sul palco di un club esclusivo di Barcellona per una serata mistica.

E’ un circuito, quello delle tribute band nordiche, sempre in fermento e pieno di vitalità: vi sono quelle stabili e collaudate, come i Primary, piemontesi, interpreti del repertorio di Robert Smith e The Cure, ed altre più fluide, formazioni che vanno e vengono, che talvolta si fondono, si scindono, muoiono e risorgono tra defezioni e nuovi ingressi, tempi morti e attese, cadute e risalite alla ricerca di nuovi spazi, spiragli attraverso cui portare ancora sul palco la fedeltà alla propria musica.

I Golden Soldiers, ad esempio, una tribute band veneta di The Sound, ha vissuto varie fasi con formazioni miste, anche con inserti dei Permanent, in ordine sparso. Ma per la musica di Adrian Borland e The Sound, recentemente, il testimone sembra essere passato nelle mani di una nuova formazione bolognese, i Total Recall, gruppo che fa base al Gallery16, locale di cultori dalle parti di via Ugo Bassi ove si radunano duri e puri gli amanti di una musica new wave d’avanguardia degli anni ’80. Le serate animate da un veterano collezionista,  DJ Tetro, sono un’autentica scuola di cultura musicale con set list eccelse ormai impossibili da ascoltare altrove.

Si va dai Wire ai Tuxedo Moon, dai Magazine ai Devo, con vinili d’epoca rarissimi, versioni sconosciute di brani da discoteca tecnologica d’epoca, ritmi industriali tra Sheffield e Manchester, Cabaret Voltaire e Joy Division. E se sul palco i Total Recall scatenano la Sound-mania, specie quando accompagnati da conversazioni con Giuseppe Basile, dai suoi libri e da stralci di proiezione del DVD sulla band di Wimbledon, la serata si fa interessante, divulgativa, ma anche carica di emozioni.

 

I bolognesi Total Recall, Tribute-Band di The Sound: da sinistra Andrea Sgarzi, Massimo Panico, Alessandro Fioravanti, Franco Pietralunga, Sandro Sgarzi (G.Basile © Geophonìe)

Il Gallery16 di Bologna è come il Blackstar di Ferrara, come il Circolo Arci di Parma, l’Osteria del Fico di Cremona, luoghi di cultori musicali, dove gli appassionati si ritrovano abitualmente a conversare di temi musicali e storie di provincia. L’adrenalina, però, in questi anni scorre anche in Romagna, in luoghi che hanno attratto moltissime tribute band.

Il Beer Garden di Cotignola (Ravenna) è ormai uno dei covi preferiti dal popolo della dark wave, che vi si riversa con puntuale abitualità, per vedere i Sanctuary Of Love, potentissima band che interpreta il rock energetico dei Cult, ma per gli stessi Nocturne, Permanent, Total Recall, Golden Soldiers, Hydrogena e diversi altri. Serate retrò, certo, ma con sonorità vive e fisiche, e con musicisti in carne e ossa carichi di passione.

La nostra Associazione Culturale Geophonìe ha sempre cercato di valorizzare tracce, ricordi, cimeli. Storie minime o grandi storie. Cronache, reportage fotografici, sonorità connesse ai luoghi (“geo” – “phonìe”), parole e ricordi, narrazioni. E queste vicende, questi piccoli o grandi eventi, sono la materia delle nostre documentazioni.

Marcello Nitti © Geophonìe
26.02.2023
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Il culto dei “Cult”

“Sanctuary Of Love”  è il nome della tribute band italiana dei Cult.
Al Beer Garden di Cotignola (Ravenna) il prossimo 17 settembre.

 

Tony D’Amato con Steve Brown. produttore di The Cult (Antonio D’Amato © Geophonìe)

…. “La nostra band è nata in tempi recenti, nel 2018 per amicizia e per la voglia di stare insieme sul palco” – ci racconta con emozione Tony – “con l’idea di rivivere in chiave attuale il sogno di rendere tributo ai The Cult”.

Si tratta in realtà di un sogno già vissuto sin dal 1986 quando Alberto (Voce) e Tony (Lead Guitar) fondarono a Mestre gli Straightway, una garage band gothic rock, una delle tante che nacquero in quegli anni ricchi e intensi di sperimentazione, affascinati dal desiderio di riprodurre la musica del LOVE album di Astbury e Duffy, masterpiece prodotto dal mitico Steve Brown.  Quello fu il loro primo repertorio che includeva pure alcuni brani inediti e qualche cover di Cure, Alarm e U2.

Alberto Corradini e Tony D’Amato (Antonio D’Amato © Geophonìe)

I  Sanctuary of Love risiedono tutti in provincia di Venezia esibendosi nei locali e Live Club che abitualmente amano accogliere la musica gothic rock, ben lieti di proporre anche band definite più di nicchia. Oltre ad Alberto Corradini (voce) e Antonio “Tony” D’Amato (Lead Guitar), la band è composta da musicisti di lunga esperienza, molto noti nel panorama punk, rock e metal del Veneto, come i fratelli Mattia e Marco Manente, rispettivamente bassista e chitarrista, e Andrea “Cipo” Goatin alla batteria.

“Il logo creato per identificare la band è  significativo” – dice Tony –  “poiché rappresenta in primo piano il carattere “gothic” più cupo utilizzato nell’album “Love” intersecato con lo sfondo hard rock di “Electric”fondendo così le due anime musicali dei Cult”.

Fu proprio Steve Brown, colosso della produzione musicale Londinese (produttore anche di Freddy Mercury, Wham, Alison Moyet, e molti altri), ad assumere inaspettatamente un ruolo fondamentale nel confermare i Sanctuary of Love come riferimento per i fans dei Cult nel nord est.

“Ci piace eseguire i brani del nostro repertorio” –  ci racconta Tony – “rispettando le esecuzioni originali e il sound live attuale che i Cult continuano ad offrire nei recenti tour “Electric 13“, “Alive in the Hidden City” e “The Year of A Sonic Temple, 30th Anniversary”.

 

(Antonio D’Amato © Geophonìe)

Dal nome della band è evidente che il sound dell’album “Love” faccia ormai parte del DNA della tribute veneziana mentre “canta di lupi e deserti, di piogge liberatorie, di uomini-ombra e di sacerdotesse del sesso, di visioni mistiche e mitiche fenici” (Breus 2007).

“Nirvana” travolge con la sua dinamica gothic rock dal basso ficcante, “Rain” ci invita a danzare intorno al fuoco invocando la pioggia e “She Sells Sanctuary”, il brano in assoluto più famoso dei Cult, rappresenta la donna che concede il suo grembo, appunto il suo “Santuario” dove “dentro di lei troverò il mio santuario mentre il mondo mi trascina giù”.

 

Tony D’Amato (Antonio D’Amato © Geophonìe)

I Sanctuary of Love partecipano attivamente alle iniziative del fan club internazionale THE CULT FAMILY, a volte anche Insieme ad altri musicisti “guests”, veri devoti dei Cult. Qualche anno fa i Sanctuary hanno suonato allo storico club “Black Star” di Ferrara in occasione della prima convention The Cult in Italia, proprio di fronte all’amico Steve Brown con la benedizione via social da parte di Billy Duffy che per l’occasione inviò un video di auguri a tutta la Cult Family.  “Fu la conferma che il nostro destino sarebbe stato ancora più legato ai Cult”, – ci scrive Alberto, front man e voce dei Sanctuary – “diventando amici di colui che creò e produsse il sound anni ‘80 dei Cult dove per noi tutto ebbe magicamente inizio”.

Alberto Corradini (Antonio D’Amato © Geophonìe)

“Parlai del Medimex proprio con Steve Brown” – ci confida Tony – “e non avrebbe avuto difficoltà a parteciparvi in futuro”. Purtroppo, un male improvviso se lo è portato via a gennaio 2021 lasciando in eredità ai Sanctuary la ferma volontà di proseguire con la loro tribute band, anche per onorare l’amico Steve.

Tony, che ricopre il ruolo di “Billy Duffy” nella band, segue abitualmente i Cult in giro per l’Europa, e spesso ha avuto occasione di incontrare i membri della band prima dei loro concerti. “Sono amico di John Tempesta, il batterista attuale dei Cult” –  continua Tony – “con il quale sono spesso in contatto: ci si vede sempre prima dell’inizio di un loro concerto. John è un batterista talentuoso, pur rimanendo una persona semplice sempre disponibile con tutti…. Il sangue italiano non mente!”.

Una simpatica coincidenza, Tony, con il nickname Instagram “tonythecult”, ama fotografare la band dei Cult ad ogni concerto e alcune sue foto sono state scelte proprio da Billy Duffy e da Mick Peek (fotografo ufficiale dei Cult) per rappresentare nella pagina web ufficiale di Billy, le immagini del tour “Hidden City”, https://www.billyduffy.com/news/more-alive-in-the-hidden-city/

Un curioso aneddoto: Tony nel 1986 si vestì esattamente come Billy Duffy nel video di “She Sells Sanctuary” per un servizio fotografico. “Mostrai a Billy Duffy questa foto in bianco e nero di me adolescente prima di un recente concerto e Billy mi chiese di poterla autografare.

Ovviamente risposi che sarebbe stato un onore! Immaginate la mia emozione quando Billy mi guardò negli occhi e poco dopo autografò la foto con dedica scrivendo “Almost… Billy Duffy”. Si tratta in fondo di amicizia, pace e amore ….. “Love Obviously, very soon, everybody”.

Giuseppe Basile © Geophonìe
(06.09.2022)

 

Damàiste, New Wave bolognese contemporanea

I Damàiste sono una band bolognese che da alcuni anni propone una rivisitazione della new wave seguendo percorsi diversi da quelli tipici delle tribute band. Il loro, infatti, non è il tipico spettacolo incentrato sulla pedissequa esecuzione dei classici  e il loro repertorio non tende al revival di uno specifico gruppo: quello dei Damàiste è un evento di comunicazione, quasi un reading, fatto di musica e parole.

I Damaiste infatti spaziano in un repertorio anni 80 ma non solo, riproponendo brani noti e meno noti di varie formazioni storiche, dai Cure sino ai Placebo, dai Sound e The Psychedelic Furs agli Interpol, Franz Ferdinand, Arctic Monkeys ed altri. La setlist dei Damàiste ricerca e vuole mostrare al pubblico la “continuità” di un genere, l’eredità sonora e di ispirazione acquisita dalle generazioni di artisti che si sono affermati dopo gli anni ’80, quando quella particolare fase creativa confluita in un brit pop meno suggestivo e spesso poco originale sembrava definitivamente chiusa e conclusa.

Massimo Panìco, voce e tastiere (Damàiste, Live Gallery 16, Bologna, 22.12.2019) © Geophonìe

Non è casuale la scelta dei brani che i bolognesi Damàiste portano sul palco: vi è molta cura nel presentare diversi brani contemporanei, per mostrare accanto alla new wave delle origini, quella di oggi. Amano intervallare le loro versioni live con brevi racconti, aneddoti, pillole di storia musicale, schegge di un’epoca non ancora lontanissima che il pubblico ha piacere di ricordare ma anche di approfondire, scoprendo qualcosa di più. Sappiamo bene come molti testi new wave in quegli anni scivolassero via, completamente ignorati e offuscati dallo sfavillio estetico degli ’80, e scoprire oggi slanci di poesia e significati sconosciuti, condividere solo ora narrazioni che la stampa specializzata – in ritardo – ha scoperto e svelato, rende il loro spettacolo un happening musicale e culturale ricco e piacevole.

E’ una bellissima serata quella che si trascorre fra le conversazioni e le performance sonore dei Damàiste, sempre molto cariche di intensità elettriche e ritmiche. Il loro è un “sound” solido e collaudatissimo. La parola “Sound”, del resto,  per i Damàiste è una questione di cuore: il repertorio della band di Borland è infatti uno dei cardini del loro spettacolo.

Franco Pietralunga (drums) e Christian Paolucci (voce e chitarra) Live Gallery 16, Bologna, 22.12.2019 (© Geophonìe)

Da cosa nasce questo amore per i The Sound?
“Max è di Taranto” – ci racconta Frank, batterista – “ e negli anni ‘80 la scena New Wave della città era molto viva. Lui ebbe la fortuna di assistere a buona parte di quei concerti, dai Simple Minds ai Bauhaus, e nel 1985 a 14 anni vide Adrian Borland e soci al Tursport Club. Un concerto leggendario. Da allora i The Sound sono stati un suo pallino”.
“Anche Frank li vide dal vivo a Budrio in provincia di Bologna nel 1983”, – racconta Massimo Panìco –  “ed anche lui considera questa band fondamentale nel panorama New Wave/Post Punk internazionale. Le sonorità post punk sono parte integrante della nostra cultura musicale, sia come ascoltatori che come musicisti. Dopo aver riproposto per tanto tempo quasi tutte le band del periodo Punk-New Wave, abbiamo capito che l’unicità dei The Sound era davvero pazzesca e abbiamo deciso di esplorarli più a fondo. “From the Lions Mouth” è un album straordinario”.

Christian Paolucci, voce e chitarra (Damàiste, Live Gallery 16, Bologna 22.12.2019) © Geophonìe

Quando vi siete formati e qual’è la vostra storia?
“I Damaiste nascono nel lontano 2009, Chris, Max ed Emi sono i fondatori. Dal 2017 Frank è il nostro batterista. Esordimmo come cover rock band, abbiamo poi intrapreso un viaggio creativo che ci ha portato nel 2015 ad autoprodurre “What you see is all there is” un album interamente scritto da noi che ha riscosso un discreto successo fino a raggiungere il 5° posto nella classifica indie di iTunes. In questi anni ci siamo dedicati a studiare e riproporre diverse band che sono il nostro riferimento (Arctic Monkeys, The Cure, Placebo), ma quando siamo atterrati su The Sound, è divenuta la nostra nuova ossessione”.

Perché avete due cantanti?
“Perchè ci piace variare tra diversi stili, essere flessibili, spaziare su diversi canoni. Chris e Max hanno timbri vocali completamente diversi e sfruttiamo questa particolarità a nostro vantaggio”.

C’è una notevole versatilità vocale e sonora nelle esecuzioni dei Damaiste. I brani originali vengono riproposti con libertà interpretativa e voglia di sperimentare. Si riconosce benissimo nel loro concerto quella militanza sotto i palchi di tanti grandi e piccoli eventi musicali che negli anni, sin da ragazzi, avrà caratterizzato le loro storie personali.

Il concerto live a cui avete assistito e che vi ha maggiormente influenzato?

“Quello degli U2, Zoo Tv, a Bologna” – dice Chris – “Ero lì per motivi di lavoro, in servizio militare nella celere. A distanza di anni abbiamo poi ricostruito i ricordi, scoprendo di esserci stati tutti e tre (io, Emi e Max) nello stesso posto, allo stesso momento, seppure con finalità diverse: 2 su 3 di noi erano al lavoro”.
“Durante quel tour degli U2 – Zoo Tv ebbi il privilegio di lavorare con Bono” – dice Max – “Ero l’aiutante della sua costumista. In quella data di Bologna salii sul palco due minuti prima dell’inizio del live per riportare nel backstage i finti U2. Esperienza memorabile dinanzi a circa 30.000 persone”.
“Fu in occasione di quel concerto degli U2 – Zoo Tv Tour a Bologna che capii che il mondo era diventato multimediale”, dice Emi.
“Per me fu il concerto dei Sound nella Discoteca Puntacapo di Budrio del 1983” – dice invece Frank – “fu una performance che pose le basi per le mie preferenze musicali, e orientò tutta la mia cultura musicale che ho poi continuato a coltivare  sino ad oggi”.

E il concerto live che vi ha maggiormente influenzato come musicisti?
Chris: Arctic Monkeys “Ferrara sotto le stelle” 2007
Max: Sono tantissimi, non riesco a dirne solo uno. Molti concerti degli U2. Depeche Mode, Placebo ed Editors. Simple Minds e Tears for Fears. Arctic Monkeys. Davvero difficile.
Emi: Interpol, “Turn on the bright lights tour”.
Frank: Arctic Monkeys “Ferrara sotto le stelle” 2007.

Gallery 16, Bologna. © Geophonìe

Il  concerto live che non vi perdonate di avere perso?
Chris: Grateful Dead
Max: The Clash, Duran Duran e David Bowie
Emi: Jeff Buckley
Frank: David Bowie

Le band da cui siete ossessionati?
Chris: The Beatles
Max: U2
Emi: The Smiths
Frank: Joy Division

 

 

Cos’è la musica per voi?
Chris: una millefoglie di matematica applicata al suono con sopra un velo di emozioni
Max: le rockstar sono i miei mentori, il rock è l’interruttore dei miei stati emotivi
Emi: l’angolo delle mie emozioni con cui mi confronto appena posso
Frank: un luogo dove mi sento a mio agio, sempre

E il vostro sogno come musicisti?
Chris: Fare un tour in Giappone
Max: ne ho due: il primo è fare un tour con la mia band girando le capitali europee con il Westfalia. Il secondo è suonare i Sound nella mia Taranto.
Emi: incidere un album e l’ho realizzato; il prossimo è quello di suonare con Peter Hook e Johnny Marr assieme (difficile ma nella vita non si sa mai!!!)
Frank: direi che si è avverato, visto che era suonare in una cover band dei The Sound.

Giuseppe Basile © Geophonie
13.05.2021

Damàiste, esperimenti di comunicazione

Una band bolognese propone un illuminante reading di musica e parole. Un’esperienza espansiva che dal rock infonde energie e volontà, con risultati efficaci persino nell’attività di formazione aziendale. Damàiste , in Gaelico significa “Ledere”, “Danneggiare”,  ed è il concetto di lesione, disagio presente in alcune band del passato ad interessare i membri di questa formazione musicale emiliana: una passione per le sonorità new wave, goth, postpunk, darkwave e brit pop  accomuna i suoi quattro componenti, musicisti di lungo corso che suonano per diletto e non per lavoro. Dismessi pc, cravatte ed automobili, si dedicano a proporre musica di nicchia per appassionati degli anni ’80 e primi ’90. I Damàiste suonano insieme dal 2011 e riportando live le atmosfere citate, interpretano le più importanti band di questi generi: The Sound, Joy Division, Killing Joke, Bauhaus, The Psychedelic Furs, The Cure, Depeche Mode, Placebo, Interpol, Franz Ferdinand, Oasis, Pixies, Arctic Monkeys. Le canzoni non sono riprodotte in stile ‘tribute’, quindi identiche all’originale, ma cercano di evidenziare dettagli dei brani non sempre evidenti, con richiami a contemporanei o a band successive che hanno fatto tesoro della tradizione new wave; i Damàiste interpretano liberamente Adrian, Ian, Jaz, Robert e tutti gli altri musicisti a cui si ispirano, pur rispettando il messaggio sonoro ed il contenuto artistico. Nel 2015 la band pubblicò un proprio album inedito, “What you see is all there is”, raggiungendo il 5° posto della classifica Itunes Indie. Le sonorità dell’album riprendono la passione dei suoi membri verso diversi generi musicali ma l’atmosfera generale rimane fedele al decennio 80, fino ad arrivare alle sonorità anni 90, ovvero fino alla “Placebizzazione” . Alcune composizioni dell’album sono proposte dal vivo. Ogni live è caratterizzato da un lungo repertorio, frutto dei 10 anni di carriera della band; è per questo che in alcuni live si superano abbondantemente le due ore. La capacità di fondere due cantanti con timbri vocali diversi rende  particolari le performance live. La band si è esibita principalmente in Emilia Romagna, con alcune date anche fuori regione in Veneto e Toscana, toccando alcuni palchi particolarmente importanti come Home Rock Bar a Treviso, Cortile Cafè a Bologna, Hard Rock Cafè a Firenze e diversi altri. Le parole dei grandi artisti vengono svelate, e il loro pensiero finalmente viene divulgato. Recentemente Max Panìco ha dato vita ad un’attività di formazione nel mondo aziendale promuovendo un proprio format incentrato sull’energia, sulla valorizzazione dell’individuale senso interiore e sulla libertà creativa che il rock, come forma culturale, ha trasmesso nella nostra società moderna stimolando  attitudini individuali e di gruppo, l’autodeterminazione e l’affermazione della personalità. Il suo prodotto formativo si chiama “Il rock in azienda” e sta ottenendo un successo notevolissimo con numerose richieste e consensi professionali nell’ambito del management italiano (https://www.youtube.com/watch?v=MPGsjRLG4Sw). COMPONENTI Christian Paulucci – voce e chitarra Massimo Panìco – voce e tastiere Emiliano Lorenzoni – basso Franco Pietralunga – batteria

Primary, vent’anni di live sulle orme dei Cure.

Sui palchi dal 1999, i torinesi “Primary” sono un punto fermo per la promozione dell’arte musicale di Robert Smith & The Cure nel Nord Italia.

Marco Isaia e Riccardo Guido li abbiamo incontrati in occasione di un raduno dark wave tenutosi a Ferrara, e nel vederli sul palco abbiamo immediatamente riconosciuto la loro esperienza e sicurezza tipica delle band ormai collaudate, solide, con la padronanza del repertorio e la professionalità delle esecuzioni che soltanto il tempo e la militanza live possono attribuire. Le storie personali dei Primary, infatti, partono da lontano.

“Fondammo la band nel 1999” – dice Riccardo  (Rik) – ma ognuno dei componenti aveva un’esperienza pluriennale in campo musicale, con numerosi progetti alle spalle, alcuni dei quali ancora attivi.

Abbiamo sempre realizzato la nostra musica originale (con varie formazioni come TeaTime, Umornoir, Merce Vivo, Estetica Noir), ma parallelamente abbiamo sempre coltivato il nostro interesse per l’esperienza delle  tribute/cover band (con gruppi come Mr Frankly The Smiths Cover, Control Joy Division Cover, The Reflex Duran Duran Tribute Band, Sneakers Depeche Mode Tribute Band)”.

Grazie a questa versatilità, i Primary in tutti questi anni sono sempre stati al centro di numerose collaborazioni con altre cover band dell’area torinese: esperienze, queste, tuttora aperte. Marco Isaia (Voce e Chitarra), Luca Lazzaroni (chitarra), Riccardo Guido (basso), Enrico De Stefani (keyboards) e Fabio Prettico (Drums) sono un gruppo di musicisti di lungo corso.

“Nel 1999, grazie alla volontà di un gruppo di amici, trovammo nel mondo immaginario creato dalla musica dei Cure un territorio dove ritrovarsi, divertirsi e appassionarsi alla musica suonata dal vivo. La formazione originaria, (voce, due chitarre, basso e batteria) rimase stabile per diversi anni, fino  all’integrazione delle tastiere, che arricchirono il suono grezzo degli inizi e hanno poi contribuito significativamente ad ampliare il repertorio verso atmosfere più raffinate, ma sempre caratterizzate da un forte impatto live.

 

Dopo un periodo di stasi di alcuni anni, in cui i membri originari intrapresero nuovi e diversi percorsi musicali, il gruppo ha ritrovato forza e motivazione con una formazione che in parte ricalca quella originale e in parte include i membri di un’altra cover band dei Cure di Torino, gli Other Voices, amici e compagni di viaggio del percorso Primary”.

“La formazione attuale (voce, due chitarre, basso, batteria e tastiere) ha ripreso vita con una serie di concerti caratterizzati da una profonda ricerca sonora che spazia ampiamente nel repertorio dei Cure, dai pezzi dell’esordio del 1979 tratti da Three Imaginary Boys fino al 2008 di 4:13 Dream, passando per i classici degli anni ’80-’90 senza trascurare sonorità più cupe e malinconiche che caratterizzano distintamente i Cure nel panorama del dark/gothic rock. Ne sono un esempio i brani meno noti al grande pubblico e a noi molto graditi: spesso li riproponiamo nei live, come quelli tratti da 17 Seconds, Faith, Pornography, The Top, The Head On The Door, Kiss me Kiss me Kiss me, Disintegration, Wish, Wild Mood Swings e Bloodflowers”.

Grazie all’ampiezza del repertorio accumulato in più di venti anni di vita musicale, la band ha proposto in diverse occasioni delle serate “a tema”, dedicate a diversi album dei Cure, suonati interamente dal vivo in occasione di importanti ricorrenze temporali. Ne sono state un esempio le serate intitolate “Primary play Pornography”, “17seconds x 40 years” e “30 years of Disintegration” dedicate interamente a tre degli album più belli della discografia dei Cure.

Abbiamo chiesto ai Primary se abbiano mai conosciuto o incontrato direttamente The Cure.

“Purtroppo no” – ci dicono Rik e Marco –  “ma il nucleo originario della band si conobbe proprio ad un concerto dei Cure, nel 1996. Tre anni dopo iniziammo a suonare con una formazione embrionale, con l’attuale cantante nelle vesti di chitarrista e un giovanissimo cantante del tutto improvvisato, poi dipartito per divergenze musicali. La formazione attuale conserva ancora due dei membri originari, dopo più di 20 anni di amicizia e musica insieme”.

Nel corso di tutti questi anni, qual è l’opinione che avete maturato sul valore artistico dei Cure e sul loro successo?

“Abbiamo sempre riscontrato, in tutti i concerti, questo  trasporto del pubblico, questa attrazione che la musica dei Cure esercita verso quella “discesa catartica” nel loro  mondo visionario: hanno sempre saputo descrivere atmosfere assolutamente originali,  poi sempre imitate da tutti i gruppi dell’ambiente dark wave. I loro  intrecci di chitarre, i tappeti di tastiere e le liriche evocative  richiamano immagini sognanti e allucinazioni che tutti in qualche modo, prima o poi, vivono nella propria interiorità. E’ una musica profonda, profondissima, quella dei Cure. Addentrarsi là dentro é la nostra impresa quando saliamo sul palco, e condurre il pubblico in questo mondo visionario è ciò che ci gratifica”.

Quali sono le prospettive per una tribute band come la vostra ….

“Suonare è un piacere, purtroppo però ci rendiamo conto che non possiamo farlo diventare una professione. Siamo appassionati, ma ognuno di noi ha i propri (molti) impegni. Non per nulla continuiamo a calcare palchi cittadini, con qualche puntata estemporanea fuori regione (Lombardia, Liguria, Emilia Romagna), sempre molto gradita. Non abbiamo impegni a breve termine, siamo aperti ad occasioni che ci facciano stare bene e che possano offrire la nostra musica agli appassionati e a chiunque apprezzi la musica dei Cure”.

Quella di una coverband è una cultura che guarda al passato: l’approccio ad un nuovo pubblico attuale rende difficile la comprensione di messaggi artistici che richiedono una preparazione musicale e una conoscenza differente da quella ormai imperante?

Forse i Primary sono una tribute band anomala, che non si trucca, che non scimmiotta i Cure e che suona i Cure senza atteggiarsi troppo da Cure: noi pensiamo a questa musica come a un  “veicolo” che emotivamente può condurre chiunque in quel mondo effimero, in quella oscurità dei sogni in cui capita, talvolta, di voler sprofondare. Noi crediamo che queste sensazioni possano essere colte e vissute anche da un pubblico che non conosce in modo specifico l’arte dei Cure: ci emoziona sempre riuscire a trasmetterla e osservare il modo in cui essa venga recepita”.

Marcello Nitti © Geophonìe

(07.04.2021)

 

Nocturne, dal Veneto sulle tracce di Siouxsie


Il progetto del prossimo Medimex in Puglia, sul tema del punk-new wave, anche se ancora in fase di definizione, ha destato l’interesse di tribute band nazionali e  circuti culturali, specie nel Nord Italia. Anche i Nocturne continuano a promuovere e diffondere questa musica che dagli anni ’80 sino a tutt’oggi non ha mai smesso di esercitare un fascino notevolissimo.  Alcune formazioni hanno già una storia nel clubbing italiano, altre si propongono oggi, a dimostrazione di quanto ancora vitale sia un genere e un ambiente artistico che continua a proporsi, a rinnovarsi e a produrre.

 “Abbiamo formato la band a Bassano del Grappa in tempi abbastanza recenti, nel 2018” – racconta Ombretta – “nelle prime nostre apparizioni abbiamo esordito con il nome NoBlinkers. L’intento era quello di celebrare le principali bands della new wave come i The Cure, The Sound, Killing Joke e Siouxsie and The Banshees. La formazione era così composta: Shadine Reds (voce); George Blased (chitarra); Mark Hook (basso); Morris Le Baptiste (batteria). In seguito al successo di un nostro  live al Dublin Castle Camden a Londra, il 5 ottobre del 2018 – dove ci era stato chiesto esplicitamente di eseguire solo brani di Siouxsie and The Banshees – la band, rientrata in Italia, ha deciso di cambiare il nome in NOCTURNE – Siouxsie and The Banshees Tribute Band. La formazione è rimasta la stessa ma con l’inserimento un nuovo chitarrista, Luke Ritz. Con lui si è instaurato da subito un rapporto costruttivo e di continua crescita. Siamo un gruppo accomunato da una grossa passione nei confronti di Siouxsie, siamo entrati subito in sintonia”.

Abbiamo chiesto ai Nocturne quali sono state le prime tappe del loro percorso.

 “L’esordio dei Nocturne in Italia è avvenuto al “Vinile” a Rosà (VI) il 12 aprile 2019, luogo cult della scena punk degli anni 70-80-90 e tuttora. Altro locale storico è il Black Star a Ferrara, dove partecipiamo spesso agli eventi principali delle loro programmazioni, come la reunion di band post punk per la festa di Halloween: il  31 ottobre 2019 eravamo lì con altre band nazionali, serata emozionante. Molti appassionati, quella sera, hanno riconosciuto la grinta, l’ermetismo, l’essenzialità e la nostra capacità di reinterpretazione dei brani, noi cerchiamo di riproporli con una nostra visione,  pur mantenendo l’essenza dei pezzi originali”.

La storia musicale dei componenti attuali dei Nocturne parte da lontano …

“Si, è vero. I “Frigidaire Tango”, di cui fa ancora parte Morris Le Baptiste, suonarono come gruppo spalla dei The Sound nel febbraio del 1983”, continua Ombretta. E il batterista Morris racconta: “I Sound avevano in programma alcune date nel Nord Italia, il 14 nei pressi di Bologna (Teatro Disco Puntacapo), il 15 a Milano (Teatro Orfeo), il 16 a Vicenza, il 17 a Firenze (Manila) e il 18 nei pressi di Brescia, precisamente a Rezzato. Dopo quattro date erano terminati i soldi della produzione per pagare le spese dei Frigidaire ma Adrian Borland ci volle con loro per terminare il tour pagando di tasca sua le spese necessarie. Gesto generoso da parte di Borland, persona riservata e discreta”.

Morris ci racconta un altro aneddoto.

“Ricordo che il batterista Mike Dudley si presentava in taxi ad ogni data, faceva il sound-check e rientrava in taxi all’albergo, poi al momento del live ritornava, sempre col suo taxi. Non riuscii mai a confrontarmi con lui riguardo il nostro strumento, preferiva ritornare in albergo e rispettare uno stile di vita sano.  A vederli erano ragazzi tranquilli” – dice Morris – “erano semplici, lo saranno ancora adesso credo … quando però salivano sul palco e iniziavano a suonare si trasformavano. Tutta la loro energia si sprigionava con una forza dirompente alla quale non potevi sottrarti. Il nome della band non poteva essere più azzeccato”.

Abbiamo conversato con i Nocturne parlando dei motivi del loro interesse specifico per Siouxsie.

“Inizialmente l’interesse della band era rivolto a diversi gruppi, come già detto. L’interesse specifico per Siouxsie è nato dopo aver visto il live della band alla “Royal Albert Hall” a Londra, con Robert Smith alla chitarra. In quel concerto strepitoso, dove l’incipit è affiddato alla “sagra della primavera” di Igor Stravinsky, ci sono i brani più belli della discografia dei Siouxsie and The Banshees, da Israel che apre il concerto, a Melt, Painted Bird, Spellbound, Arabian Knights, Monitor, Sin in my heart, Halloween: tutti brani raccolti nell’album “JuJu” dove la chitarra fa la differenza con John McGeoch.  

E’ l’album più apprezzato dalla critica, e considerato anche da noi una pietra miliare del post punk proprio per l’utilizzo non convenzionale della chitarra e le performance vocali di Siouxsie. Amiamo molto anche gli album precedenti, naturalmente: “Kaleidoscope” con tracce come Happy House, Christine, Paradice Place e “The Scream” che fu un punto di riferimento per altre band importanti del periodo come ad esempio per i Joy Division, e che raccoglie brani per noi fondamentali, come Hong Kong Garden, The Staircase e Mirage”.

E’ un momento difficile per i progetti ….

“I progetti futuri, vista l’emergenza Covid, si focalizzano sulla ripresa dei live nei luoghi ove la musica dei Siouxsie and The Banshees è apprezzata. Recentemente, grazie alla presenza nella band di Morris,  abbiamo iniziato a scrivere brani inediti. I “Frigidaire Tango” sono un’origine di cui andiamo fieri, fu una band che agli inizi degli anni ‘80 attirò l’attenzione dell’ambiente musicale alternativo. Proprio in questo periodo, visto il riposo forzato, ci stiamo dedicando agli arrangiamenti, ma anche alla nascita e allo studio di un nostro nuovo progetto”.

Chiediamo ad Ombretta, la Siouxsie della band, quale possa essere il senso di una tribute band oggi, con una musica che guarda al passato ed un pubblico attuale ormai lontano dal clima culturale di quegli anni ….

“I Nocturne cercano di riproporre i brani dei Siouxsie and The Banshees richiamandone, quanto più fedelmente possibile, alcune di quelle atmosfere sonore. E’ uno spettacolo che cerca di trasmettere anche il valore di certi dettagli: l’aspetto visivo ha la sua parte, il make-up pesantissimo, la parrucca nera, quegli abiti sado-maso, erano lo specchio di un disagio e delle difficoltà che la società di quei tempi esprimeva anche attraverso l’abbigliamento, oltre che attraverso i testi e le sonorità. Tutto aveva un significato ben preciso e per comprendere i messaggi di questi gruppi punk occorreva una certa sensibilità musicale, una preparazione. Il prodotto artistico che emerse da tutto questo fu di alto livello, creò una nuova estetica, il fascino suadente e inquietante, ma allo stesso tempo elegante di Siouxsie Sioux, fu di grande impatto, fu un personaggio originale ed eclettico. L’attuale cultura musicale è ben lontana da quelle atmosfere. L’attuale mercato, le trasmissioni televisive sono legate all’apparire e ad “avere tutto subito senza fare fatica” …  sappiamo benissimo che non funziona proprio così!”

Il Medimex potrebbe essere un momento di grande festa, con incontri speciali che gli “addetti ai lavori” hanno desiderato per lunghi anni.

“Abbiamo letto sui giornali che tra i nomi degli artisti richiesti potrebbe esserci proprio quello di Siouxsie, sarà difficile, sappiamo che lei è lontana dalle scene da diversi anni, ma chissà: noi vogliamo sperare. E ci piacerebbe tanto essere lì. Un raduno delle migliori tribute band italiane sarebbe un momento di aggregazione che passerebbe alla storia, e che difficilmente si ripeterà. La manifestazione del Medimex ci sembra adatta, vista la varietà dell’offerta di eventi e la pluralità di location che pare possano essere scelte, tra i capoluoghi e quei fantastici Comuni della provincia pugliese. Conosciamo bene la storia della new wave degli ’80, e di quei primi eventi che si realizzarono proprio lì”.

(04.04.2021) Marcello Nitti © Geophonìe

Heart And Soul, dai Joy Division ai Permanent

Dal Veneto al Belgio, all’Olanda, a Berlino: storia dei Permanent,  fenomenale tribute band italiana che ha emozionato Peter Hook.

Permanent (da sinistra, Alice Nick, Agostino,Cosimo, Alex)

Chi vive nel Nord Italia e frequenta i circuiti del clubbing si sarà certamente imbattuto in un uno dei tanti eventi che in questi anni, un po’ ovunque, hanno offerto spazio alle performance dei Permanent, la band veneta che con oltre cento concerti già realizzati ha riportato la musica dei Joy Division sui palcoscenici della musica dal vivo. E chiunque abbia avuto l’occasione di vederli non ha potuto nascondere il proprio stupore, per l’intensità trasmessa, la potenza sonora, la capacità espressiva, la perfezione tecnica: “sembrano migliori dei Joy Division”, è il commento che regolarmente circola e serpeggia nel pubblico, che ad ogni performance viene sopraffatto dall’emozione di una grande musica finalmente riproposta con maniacale precisione, con un approccio rispettoso e professionale che svela un lungo, costante studio, e un grande amore.

Lo stivale è lungo da percorrere, la Puglia, e in generale il Sud Italia, sono le aree che non hanno ancora ospitato questo ensemble di musicisti che scorazza da anni nel Nord e nel Centro Italia. Un’occasione potrebbe essere offerta dal Medimex, la rassegna realizzata nel 2019 in Puglia, e che nel 2020 era in corso di preparazione proprio sul tema della New Wave. L’organizzazione ha dovuto registrare la necessaria battuta d’arresto indotta dalla pandemia, e anche per il  2021, sullo stesso tema, tutto è ancora da definire.

Permanent (31.10.2018, Circolo Blackstar, Ferrara)

“La band dei Permanent si è formata a Padova nel 2016” – ci raccontano Nick e Alice – “Tra le prime prove della band e il primo concerto trascorsero una manciata di mesi, ma da quel momento ogni stagione è stata una escalation, fino a raggiungere e superare i 100 concerti. Nel Maggio 2019 abbiamo ricevuto una mail inattesa da parte di Peter Hook che ci ha nominati Tribute Band Ufficiale Italiana, un’emozione grandissima: per noi ha rappresentato un nuovo tassello aggiunto a questo percorso,  in continua evoluzione”.

I Permanent sono stati in questi ultimi anni richiestissimi.

“Abbiamo avuto il piacere di suonare nei live club in mezza Italia, alcuni storici come l’Exenzia (PO), Vinile (VI), Blah Blah (TO), Base Milano (MI), Mikasa (BO), Midnight (BG) ma anche molti locali da Trieste a Genova, passando per Firenze, Pavia, Parma, Bergamo, fino ad arrivare in Belgio, Olanda e Germania”.

Alice Costantini (31.10.2019, Circolo Blackstar, Ferrara)

“Nel Giugno 2019, in occasione del quarantennale dall’uscita di Unknown Pleasures, si è tenuto il primo raduno Italiano dei fans dei Joy Division presso il Parco della Musica di Padova, con la partecipazione di appassionati arrivati da diverse Regioni Italiane. In questo evento, a cui abbiamo contribuito in parte anche con una nostra collaborazione artistica, è stato eseguito l’intero album Unknown Pleasures con le b-sides dal vivo tutto d’un fiato, sul palco delle grandi occasioni. Nel pomeriggio si svolse un reading tematico, con storia,  aneddoti e live in acustico, regali e coinvolgimento dei partecipanti con alcuni semplici quiz. E’ stato un evento unico che speravamo di poter replicare, prima di essere “interrotti” nel 2020 dalla situazione attuale che purtroppo permane”.

Sono stati anni on the road, con il furgone sempre pronto e carico di strumenti, in giro per mezza Italia, tanti incontri, nuove amicizie, serate emozionanti. “Sicuramente tra gli eventi che più spesso ricordiamo, ci sono quelli all’estero. A volte non solo per il live, ma per tutta l’esperienza condivisa insieme, il viaggio, gli incontri, gli inconvenienti, i paesaggi. Il primo viaggio non si scorda mai! Il primo fu in Belgio, con un furgone a noleggio, la visita all’ex Le Plan K (il club in cui i JD si esibirono e Ian incontrò Annik, durante il loro primo tour extra UK), i pasti saltati perchè alle 20:00 dovevamo essere sul palco, o quelli improvvisati nelle panchine di un distributore, l’incontro quasi rocambolesco con il cantante di una band post punk 80s con cui condivdemmo una serat: si trattava di una band che a suo tempo era uscita con un pezzo e un clip in buona rotazione, e che diventò poi la nostra “colonna sonora” per il resto del viaggio”.

Essere ingaggiati da grandi club all’estero rappresenta un momento di grande soddisfazione per una tribute band italiana, è il segno concreto di una notorietà in crescita, dimostrativa del fatto che si è seminato bene anche sul versante della comunicazione.

“Emozionante per noi è stata anche l’Olanda, con tutto ciò che quel viaggio ha comportato,  dagli inconvenienti con i copiosi autovelox, alle bellissime città, all’hotel da “vere star”: la partecipazione delle persone del posto era diversa da quella italiana, era eccitante l’incontro con chi si era fatto qualche centinaio di km per esserci quella sera”.

Cosimo Mitrugno e Alice Costantini (12.10.2019, Circolo Arci, Parma)

Poco prima del lockdown, il vostro momento più bello.

“Si , certo. E’ stato l’ultimo live prima del lockdown, a Berlino. Un sogno che si realizzava, la città tappezzata di manifesti, l’agitazione di chi quella stessa sera inaspettatamente  diventava papà praticamente sul palco: era il nostro chitarrista, Cosimo Mitrugno, lo abbiamo festeggiato suonando.  Fu piacevolissimo l’incontro con Mario Usai, musicista sardo di nascita ma residente in Germania, che ormai da anni milita nei Clan of Xymox. Abbiamo avuto l’onore di poter suonare con lui Transmission quella sera. E’ stata emozionante, poi, la sorpresa di alcuni amici Italiani che si erano organizzati per essere lì quel weekend e supportarci!”

Il Nord Italia, però, resta una base fondamentale per voi.

“Certo, abbiamo avuto l’opportunità di esibirci moltissimo, ricordiamo anche con grande emozione l’esperienza genovese, in una location che si affacciava sul mare: la mattina seguente non potemmo risparmiarci il giro d’obbligo al Cimitero Monumentale Staglieno, luogo in cui sono state scattate le foto poi divenute la copertina di Closer e di diversi singoli in vinili, ufficiali e bootleg. In questi anni vi sono stati molti eventi che ricordiamo sempre con piacere: sono quegli eventi in cui abbiamo condiviso il palco con altre tribute band. E’ sempre bello avere anche questo tipo di scambi con realtà diverse e musicisti  accumunati dalla stessa passione per un periodo musicale a cui molti artisti ancora oggi si ispirano”.

Nick Gallup (Permanent)

E dopo tanti concerti, finalmente, il magico incontro.

“Il 29 Agosto 2019 abbiamo incontrato Peter Hook, durante la sua tappa Italiana con i The Light. Eravamo riusciti a contattare il suo staff per ottenere un breve incontro post concerto, e dopo uno scambio di mail nei mesi precedenti ricevemmo l’ok dal suo tour manager, qualche giorno prima della data. Il concerto è stato trascinante, è stato bello poter ascoltare assieme a tanti amici e fans quegli stessi brani che poi riproponiamo anche noi,  ma eseguiti da chi quei pezzi li ha scritti, arricchiti da arrangiamenti sicuramente fedeli ma personalizzati al sound della sua nuova band. La cosa divertente è che, per prepararci a questo grande giorno, avevamo pensato di preparare qualcosa di locale da regalargli. E così abbiamo composto un pacco con alcuni prodotti legati al nostro territorio, considerando  anche il problema che poi in aereo potesse costituire un problema portare liquidi o vasi troppo grandi. Il vino è stato quindi escluso a priori, anche perché avevamo scoperto che Peter Hook non beve alcun alcolico. E così, in questo pacco si è trovato Bigoi de Bassan, Mostarda Veneta, Fagioli di Lamon, Bibanesi e varie cose particolari e forse inusuali … chissà se poi sarà riuscito a cucinare qualcosa! Abbiamo anche inserito un nostro demo acustico completato proprio in tempo per l’incontro, adesivi e gadget vari, ma soprattutto la nostra maglietta che simpaticamente poi lui ha indossato, e con cui l’abbiamo visto anche andare verso l’hotel a fine serata: quindi le foto di rito, ma anche le frasi scambiate, quando lui ci ha chiesto scherzosamente se avessero suonato meglio loro, quella sera, o noi, o quando leggendo dalle nostre maglie il nome Permanent ha esclamato: “Oh, the official!” Questo incontro è stato un momento unico e ancora fatichiamo a credere sia avvenuto davvero … per fortuna ci sono le foto a testimoniarlo”.

Qual è il senso ed il valore della musica dei Joy Division oggi?

Crediamo che il valore artistico dei JD risieda nella capacità della band di parlare al “cuore e all’anima” delle persone, con arrangiamenti relativamente semplici e immediati, abbinati a suoni scarni e secchi utilizzati in maniera allegorico – descrittiva (vetri infranti, bottiglie che si rompono … sono chiaramente allusivi) e a  testi introspettivi, colti e incredibilmente schietti. Ian guardava dentro sé stesso, consapevole delle sue crescenti difficoltà e mettendo a nudo senza paura i lati deboli di un essere umano sempre più disilluso e  verso il baratro (“Let’s take a ride out / To see what we can find / A valueless Collection of /hopes and past desires” (24 hours); “guess the dreams always end/they don’t rise up just descend/ but I don’t care anymore / I lost the will to want more” (Insight).

Agostino Taverna (Permanent)

“Portando in giro la musica dei Joy Division, abbiamo sempre riscontrato questo coinvolgimento interiore che la loro musica – a distanza di 40 anni – riesce a realizzare tuttora, anche verso un ascoltatore solo mediamente attento. Lo vediamo con chiarezza alla fine dei concerti che facciamo” – dice Nick – “quando molte persone, da ogni parte di Italia /Europa, che evidentemente non si conoscono tra loro, esprimono concetti simili a commento della loro esperienza del live appena vissuto: spesso ci è capitato di parlare con persone che, con occhi brillanti e finanche umidi, dichiarano apertamente ad estranei di aver superato periodi tremendi o di aver scongiurato addirittura pensieri autodistruttivi attraverso l’ascolto (attivo, profondo, fatto proprio) dei testi di Ian, ricavandone un’immagine nitida del suo sacrificio per aver tanto precisamente guardato in faccia i meandri più oscuri e paurosi dell’animo umano: ascoltare la sua musica, leggere quei testi, incoraggia a resistere ed a portare avanti quei sentimenti che alla fine hanno fatto soccombere Ian stesso, ma dato loro una ragione (in più) per vivere, intensamente e consapevolmente, la vita e i suoi percorsi”.

“Se la musica dei JD, senza essere orecchiabile, annovera adepti sempre nuovi anche al giorno d’oggi è perché è già dentro di noi” – continua Alice – “ toglie solo le barriere e i veli che abbiamo tra l’immagine figurativa di noi stessi e la scoperta del nostro vero essere (“Existence well what does it matter? / I exist on the best terms I can / the past is now part of my future / the present is well out of hand“ (Heart & Soul)”.

Il futuro della tribute band è legato alle opportunità di esibirsi ancora dal vivo:

“Viviamo di continue innovazioni e stimoli reciproci. Nel 2018 abbiamo debuttato come  trio semi-acustico, ora molto richiesto anche in risposta alle esigenze dei locali  derivanti dalla pandemia in atto (spazi ristretti, budget..anche!). Ci siamo confrontati e, dato che i Joy Division hanno un repertorio relativamente ristretto di pezzi, abbiamo concluso che le esigenze attuali di “commerciabilità” dei concerti richiedono ora più flessibilità sia nell’offerta artistica che nella formazione sul palco. Abbiamo elaborato il progetto di offrire al pubblico ed ai locali  tipi diversi di spettacolo, modulabili in base alla formazione (quintetto, trio, anche duo elettronico), al target (locale dark, locale “normale”, festa privata, raduno fans…) ed alle esigenze del committente”.

“Il nostro progetto per l’immediato futuro è proporre il sequel dei Joy Division, ovvero i New Order, proponendone i brani più significativi a cominciare da quelli composti nell’immediatezza della loro formazione (1980/81). Un primo concerto, tenutosi il 26 settembre 2019 in provincia di Treviso, ha dato esiti molto favorevoli, con il coinvolgimento di pubblico proveniente da località anche molto lontane”.

“Stiamo ripensando l’offerta artistica, con arricchimenti in corso di implementazione, come i visual. Le ristrettezze dettate dalle normative anti covid hanno certamente ridotto le occasioni di suonare, aprendo tuttavia altre occasioni a maggior valore aggiunto, da trovare e realizzare con i gestori/committenti. E’ chiaro, però, che il nostro desiderio è quello di poter risalire su un grande palco a cielo aperto, insieme a tanti altri musicisti e, perché no,  anche accanto a qualcuno dei nostri idoli. Per questo, il programma annunciato dal Medimex ci ha immediatamente allertato. Sarebbe un onore per noi suonare lì, dove si sono esibiti nell’ultima edizione giganti come i Kraftwerk e Patti Smith, e dove si parla oggi di nomi come Siouxsie, Psychedelic Furs, Pretenders, Simple Minds, New Order e Bauhaus”

Marcello Nitti © Geophonìe