di Claudio Frascella.
E’ domenica sera, intorno alle 20. Vicino al Tursport, sede dell’avvenimento musicale dell’anno, il concerto degli Ultravox, non c’è più un posto dove sistemare un’auto. Parcheggio di ripiego diventa il lungo viale del Faro o una delle strade adiacenti. Una lunga fila ai botteghini: molti hanno occupato all’interno del campo sportivo i primi posti dal pomeriggio. I ritardatari si affrettano ad acquistare il biglietto scivolando all’interno del Tursport, correndo, accosciandosi per terra o trovando un posticino nella tribunetta laterale.
Non sono in molti a sedere sulla piccola gradinata, stanno strettini, vedono lo spettacolo a un quarto. Ma l’importante, qualsiasi sia il posto rispetto al palco, è esserci. E’ una bella serata, non fa caldo. L’impianto montato sull’enorme palco, davanti a una delle porte di calcio, è ciclopico. Nell’aria, quasi a scandire il viavai della gente alla ricerca del solito posto o del gruppetto di amici, c’è la musica di Phil Collins (anche lui inglese, anche lui gruppettaro).
I tecnici al mixer alzano e abbassano i livelli del volume per dare gli ultimi ritocchi all’impianto: it’s ok. Un quarto alle 21, salgono sul palco i Messangers, un duo inglese che avrà il compito di scaldare il pubblico prima dell’ingresso delle rockstars. I due sembra siano infilati in una piccola grotta, quasi sacrificati sull’enorme stage. Questo per non scoprire, togliendo il gusto della sorpresa, il colpo d’occhio della scenografia. Sulle teste dei due supporters una grande rete che si leverà all’inizio del concerto degli Ultravox.
I Messangers sono bravi. Anche loro fanno elettronica. Per venti-venticinque minuti fanno ascoltare la loro produzione discografica. In Inghilterra sono conosciuti, in europa ancora anonimi. Con l’enorme pubblico che richiameranno gli Ultravox nel tour europeo sperano di farsi apprezzare. Quando lasciano il palco, gli spettatori, più di cinquemila, attendono per quasi tre quarti d’ora che i riflettori che illuminano a giorno il campo di calcio si rispengano per creare l’atmosfera che introdurrà gli Ultravox. La macchina del ghiaccio secco produce una cortina di fumo, una grande rete si eleva sino al soffitto costituito da una grande cupola.
Comincia lo show … Warren Cann, rispetto al pubblico, è in alto a sinistra, una decina di gradini rispetto al resto della formazione arricchita per l’occasione da due “extramusicians” (un tastierista e un chitarrista-vocalista); Chris Cross oscilla tra basso e synths accanto a Billy Currie che non smetterà per tutto il programma di saltellare c incoraggiare il pubblico. Al centro Midge Ure, il mattatore. Imbraccia spesso la chitarra, canta, si sbraccia, polarizza l’attenzione con quel carisma che sprizza da tutti i pori. E’ magnifico, una voce incredibile.
Non c’è la «sorpassata» asta per microfono; Midge ha indosso un microfono a batteria, molto somigliante a quelli adottati dai piloti di aerei. Chi è accomodato davanti al palco non resiste e si alza in piedi, scandisce il ritmo battendo le mani, percuotendo i barattoli di Coca Cola, allunga le mini per sfiorare Ure che stringe decine di mani. È elegante anche nel più naturale dei movimenti. Alle spalle una scenografia in nero, Cross, Cann e Currie vestiti di bianco. Ure in nero. Ogni canzone, da “Passing stranger” a “The man of two worlds» ha una scansione ritmica coinvolgente. I ragazzi conoscono a memoria tutte le musiche, qualcuno anche le parole. Si ascoltano grida di gioia quando cominciano le prime note di “Vienna”. Ure si snoda, lancia acuti, i ragazzi si spellano le mani. Molte ragazze salgono in groppa al proprio boy-friend, non stanno un minuto ferme, fanno scena attratte dal flusso che i quattro musicisti sprigionano dal palco.
Stesso entusiasmo riservano i ragazzi a «Vision in blue», motivo incredibilmente bello | utilizzato lo scorso anno anche in discoteca. La musica è raffinatissima. Si consuma allo stesso modo, con i cori che si elevano dalla marea di gente accalcata sotto il palco, “White China”. Grande successo ottengono tutti i motivi interpretati dai quattro folletti (Currie lascia le sue tastiere solo per suonare il violino). Accoglienza notevole riservata anche per “Reap the wild wind” e “Lament” che sentiremo verso la fine. È un vero crescendo che culmina con «The voice», Cann abbandona «drums» e altri aggeggi e scende sul palco. Ure ha cominciato i battere sulle sue percussioni, accanto a lui si affiancano Cross e Currie. Tutti e quattro in fila. Un colpo d’occhio suggestivo, percuotono da matti il ritmo del bellissimo “The volce”. Salutano il pubblico. ma tornano richiamati a gran voce, più o meno un minuto più tardi. Suonano “Dancing with tears in my eyes”, il motivo che ha avuto come supporto un video ideato da Cross e Ure.
Ancora un supplemento di emozioni e Ure si congeda definitivamente, dopo aver presentato i suoi tre compagni, con un “Thank you, and good night”. Anche se gli applausi sono tanti, gli Ultravox non escono più. E’ finita così l’avventura tarantina di uno dei gruppi più quotati a livello internazionale. Nitti & Ture hanno avuto ragione una volta di più: è stato un bel concerto, una grossa proposta, a conferma di come Taranto, la Puglia in questo caso, viste le auto baresi, leccesi, brindisine che non si contavano tanto erano numerose, risponda a interessanti sollecitazioni. Una lunga carovana di auto, un ingorgo di quasi mezz’ora, le note del concerto appena registrato, le centinaia di ragazzi che sostano davanti alla vicina pizzeria, non sono gli unici dati di cronaca. Un’ora dopo sul viale Ionio (è più dell’una) ci sono ancora file indiane di ragazzi appiedati che alla vista di un’auto issano il pollice alla ricerca di uno “strappo” in città.
Claudio Frascella © Corriere del Giorno, 04.09.1984