Una corte di miracoli per il bel Duca Bianco
Siamo andati a Monaco sulla rotta di David Bowie, l’indiscussa rockstar del momento.
Diecimila fans in una situazione da delirio.
Bowie non ha centrato il concerto. E’ stato accompagnato da un gruppo di musicisti che ha deluso: non andava al di là di una bravura artigianale.
Lui è stato grande quando, impugnato il sax, ha intonato Modern Love.
MONACO – A cinque anni dalla sua ultima apparizione, è tornato il Duca Bianco. David Bowie si è riaffacciato sui palcoscenici il 18 maggio scorso, a Bruxelles, incensata alba dei riti di questa sua lunga tournèe mondiale.
Il 1983 sembra essere il suo anno “in”: due films di successo, presentati all’ultimo festival di Cannes (“The Hanger”) con Catherine Denevue e “Merry Christmas Mr. Lawrence” del giapponese Oshima); un album coprodotto con Nile Rodgers degli “Chic” e infine questa imponente escursione mondiale.
A Monaco, dove sono andato a vederlo, i biglietti erano esauriti da oltre due mesi, tolta una piccola scorta che il botteghino ha venduto centellinandola come si trattasse di diamanti (i prezzi alle stelle).
Quando sono giunto a Monaco – cuore del bifronte “continente Germania”, capitale della Baviera operaia – sapevo di assistere a qualcosa di storico. Premunitomi acquistando i biglietti di entrambe le serate (sabato 21 e domenica 22), la sera del sabato alle nove e un quarto, con soli 15 minuti di ritardo, nello strabbocchevole “Olimpiahalle” di avveniristica concezione, David Bowie fa il suo ingresso accolto dall’ovazione di forse 10-15mila spettatori. Echeggiano subito le prime note di “Jane Genie”, ma è un bluff. Ed ecco, poderose “star”, si accendono le luci: Bowie è addobbato con un abito verdeacqua, cravatta, bretelle e … la sua voce.
Non sono pochi a vederlo per la prima volta dal vivo. Assisto, in una situazione da delirio collettivo, a volti inebetiti, sorridenti, abbacinati. Non mi sfiora il minimo dubbio: qui lo amano tutti. Ti guardi intorno e vedi che ci sono molti italiani: Monaco, non dimentichiamolo, è zeppa di emigrati, è una metropoli industriale, una città formicolante di operai. Ad ogni brano la folla deliquia: “Heroes”, “Wild is the wind”, “Fashion”, “Let’s Dance”, il fortunatissimo singolo “Cat People” scritto con Giorgio Moroder. Ma il pezzo forte del primo tempo è indubbiamente “Scary Monsters”, siglato da un vibrare impazzito di luminosità verdi che ricordano non a caso il Super-ragno della canzone.
Ma piano piano ti accorgi che qualche cosa non va, non funziona. I musicisti sono poco interessati, vivono come in una situazione altra, esterna. Il batterista, Tony Thompson degli “Chic” porta soltanto il tempo e non è buono per suonare brani come “Ashes to Ashes” o “Hang on to yourself”. Il bassista Carmine Rojan sembra che non ci sia. E il chitarrista Earl Slick insegue il fantasma pendulo di Jimi Hendrix.
Si capisce subito che i musicisti sono solamente degli ottimi artigiani, degli ottimi mestieranti e che comunque non possono andare al di là dei loro profondi limiti creativi. Ergo: solo Bowie trascina un pubblico completamente eccitato alla sua vista.
Tuttavia va detto che il Duca Bianco non ha particolarmente centrato il suo concerto di Monaco. A suo vantaggio ha il fatto che il tutto è molto semplice, acqua e sapone, in un’epoca in cui si escogitano artifici di ogni colore pur di sbalordire. Indubbiamente la bravura di Bowie è venuta a galla, in tutta la sua potenza, specialmente nell’ultimo brano “Modern love”, in cui David ha suonato il sax alla grande.
Noi siamo sfiniti. Averlo visto è sempre una ricca esperienza. Col suo sorriso sottile si nasconde dietro una luna di cartapesta, se ne va e noi tutti a guardarci negli occhi e a camminare, di notte (notte fonda), fra semafori e lattine di birra.
Arrivederci Bowie, a Parigi, 8 giugno.
Marcello Nitti © Geophonìe