Gli autori Basile e Nitti, al Caffè Nautilus di Taranto (23 dicembre 2016) hanno presentato al pubblico il loro nuovo libro, spiegando il valore dei testi di Adrian Borland e raccontandone la storia artistica e personale.
“Sin dalle sue origini, la musica popolare si è sviluppata con un’accentuata vocazione all’intrattenimento. Non era richiesto che i suoi contenuti venissero espressi attraverso testi “letterari”. Il verso poetico, se capitava, era eccezione alla regola. La canzone popolare era “musica leggera” proprio per questa sua attitudine a contrapporsi alla musica alta, colta, alla grande opera lirica o sinfonica. La sua facilità di fruizione, di percezione, l’immediatezza che la caratterizzava, discendeva anche dalla facilità dei suoi testi. E’ per questo che nella pop music hanno poi trovato diritto di cittadinanza tanti testi insulsi, stupidi, privi di contenuto. Il testo veniva spesso concepito unicamente come accessorio, utile solo a far funzionare la canzone. Testi senza senso, casuali, banali. Ne abbiamo letti di tutti i tipi. Anche la filastrocca poteva essere presa a prestito, e perfino assurgere a standard stilistico. “Tu dici si/Io dico no/Tu dici stop/Io dico vai vai vai/Tu dici goodbye/Io dico ciao” (The Beatles, Hello Goodbye, 1967), è uno standard, come “She-Loves-You-Yeah-Yeah-Yeah”: la canzonetta può fare a meno del pensiero intellettuale, e funziona ugualmente. Questa scoperta è alla base dello sviluppo inarrestabile della musica pop.
Solo con l’avvento dei cantautori il sistema-canzone riscopre il valore del testo: la musica popolare trova un nuovo percorso, un’altra modalità di sviluppo. Il cantautore cerca il contenuto prima delle armonie melodiche, cerca la poesia, a cui ambisce, a cui vuole accostarsi sempre più. E attraverso questo binario, più complesso e profondo, la musica popolare in questi anni è riuscita a guadagnare il rispetto delle arti maggiori e della cultura sino a ottenere il più alto riconoscimento, quello del Nobel per la letteratura assegnato a un cantante rock, Bob Dylan: non per la musica, ma per i suoi testi, finalmente accolti come autentica letteratura.
Negli anni 80 una musica molto estetica, fortemente orientata verso il mercato, il look, la moda e il largo consumo, aveva nuovamente relegato i testi ad un ruolo secondario. Nessun gruppo, tra quelli che oggi definiamo “new wave”, passa alla storia per liriche di particolare valore letterario. I Simple Minds, gli Ultravox, i Bauhaus, i Depeche Mode e tutte le schiere di band commerciali sulla scia dei Duran Duran, George Michael, Madonna, Culture Club, non hanno lasciato alcun segno attraverso i propri testi. Per questo i testi di Adrian Borland e dei The Sound sono stati oggi riconosciuti come testi diversi: Borland aveva un approccio cantautorale nella composizione del testo, fatto atipico in quella scena musicale. Non venne notato. La sua scrittura, “punk riflessiva”, è risultata un caso forse unico nel panorama di quegli anni. Lo abbiamo compreso col tempo, crescendo, con la passione di chi ama la musica e non si accontenta delle sole suggestioni sonore, quelle che prima o poi passano di moda e non ci appassionano più” .