SYNNE SANDEN: INCONTRO CON L’UNIVERSO

Synne Sanden, Photo by Siobhan Beasley

L’artista norvegese presenta il suo nuovo entusiasmante lavoro, si chiama “Unfold”,  pubblicato il 17 Febbraio 2023, per la “Nordic Records“.  Lavoro armonioso e identitario:  Synne Sanden  esplora la sua anima e concede a noi tutti di coltivare e custodire nei nostri ricordi le sue gemme preziose, frutto di esplorazioni musicali e passione.

Espressione di vitalità? Espressione di esistenza?

Espressione, direi, di coscienza, con cui viviamo in simbiosi sin dalla nascita.

Ognuno di noi ricerca quella fessura luminosa da cui ripartire per esprimersi, guardando il futuro: quel futuro che per alcuni, o molti, rappresenta un vivere semplice, lontano da prigionie,  un luogo musicale ove si esplorano nuove possibilità di comunicazione, anche visive e letterarie, oltreché sonore.

Sono queste le considerazioni che si presentano ascoltando il nuovo lavoro di Synne Sanden, Unfold, composto di dieci nuovi brani e che segue il precedente e bellissimo Imitation del 2019.

L’artista norvegese si erge con maestria e disinvoltura nella composizione e pone al centro della sua arte la plasticità dell’uso della voce. Il suo canto esprime dolcezza, dolore e infine pathos che culmina in luminose aperture verso intime riflessioni.

Synne Sanden, photo by Martine Hovind

In questo viaggio sonoro Synne Sanden si fa accompagnare da musicisti validissimi che suonano una varietà di strumenti con cui accarezzano e portano in alto la sua espressione più intima. Oltre agli strumentisti che fanno parte della sua band, Jørgen Apeness, Julie Kleive, Henrik Schmidt e Lars Fremmerlid, si aggiungono Ellen Bødtker, che suona l’arpa in due brani, e Lise Sørensen, agli archi in buona parte delle canzoni.

Nelle rappresentazioni live di Synne Sanden scopriamo un mondo variegato di suoni dal sapore lontano e che molto bene si unisce suoi testi. L’evento live non è solo presenza, ma è anche danza, gestualità e movimenti del corpo che risultano propri dell’arte della Sanden.

Un connubio professionale lega Synne Sanden con la designer tedesca Carina Shoshtary, collaboratrice anche di Bjork, la quale disegna le maschere che la Sanner indossa durante le esibizioni live e nei video promozionali dei singoli in uscita.

Prima dell’uscita dell’album “Unfold” sono stati pubblicati due singoli che sono “Like neon” e “Firewood” , accompagnati dai rispettivi video.

https://www.youtube.com/watch?v=dIky5rDl12Y

https://www.youtube.com/watch?v=teSKGsLYYXs

L’album “Unfold“, uscito il 17 Febbraio 2023 per la “Nordic Records“,  conferma le capacità di Synne Sanden e del suo gruppo. Il risultato è unico. La fusione che nasce dal coinvolgimento dei partecipanti ha momenti di intensa ricerca interiore.  Synne Sanden esprime il proprio sentire profondo in atmosfere di libera serenità e di rottura verso condizionamenti e abusi. L’artista indaga l’inconscio della natura umana per segnalare l’unicità di ciascuno di noi,  in ogni aspetto, e per ricordare con estrema fierezza che la forza, intesa come volontà interiore, andrebbe usata per scopi pacifici e solidali e non per sottomettere o, ancora peggio, per imprigionare e creare sofferenza.

Synne Sanden non nasconde attraverso giri di parole il suo messaggio, quello di poter vivere il valore della propria sessualità senza imposizioni o costrizioni. Il vissuto femminile evidentemente ancora sconta zone d’ombra costellate di dolore e traumi da cui dover in qualche modo elevarsi, e con i suoi testi l’artista evoca e trasmette un pensiero di unità e di rispetto.

Ascoltando l’intero lavoro raccolgo le perle  “Forced Restraint“,  in puro stile “Nu Jazz”,  che avvolge e delinea una nuova miscela da fondere con il cantato; “Witness“, con un intro soave  à la Cal Tjader;  e poi “Images“,  dove il canto invocante si adagia in un tappeto sonoricamente sottile ed etereo. Continuando, germoglia la stupenda “Rubberband” con tutta la sua brillante epicità.

I brani dei due singoli “Firewood“, e “Like Neon“,  svelano apertamente il messaggio di Synne Sanden, quello di essere liberi di vivere la propria intimità senza obblighi o imposizioni. “On needles” rimanda lo sguardo verso riflessi a pelo d’acqua per incontrare sè stessi. E ancora, la finale “Inhalation“, struggente, delicata, dove sussurri e abbracci danzano in armonia.

L’album è prodotto da Lars Horntveth, attuale bandleader dei Jaga Jazzist.

https://www.youtube.com/watch?v=15IGXk46yfk
https://www.youtube.com/watch?v=1p0eDlvpwbU

Marcello Nitti  © Geophonìe
26/02/2023
Diritti riservati

Vinicio Capossela, Le radici del Florìda

Vinicio Capossela (01.06.22, Modena, Teatro Comunale Pavarotti) G.Basile © Geophonìe

Modena, 01.06.2022, Teatro Comunale Pavarotti

Ciascuno di noi ha delle radici, quelle che ci determinano, che ci condizionano, che costruiscono l’approccio al mondo  con cui elaboriamo le nostre visioni.

Quando si ascolta Vinicio Capossela, però, e soprattutto si pone attenzione ai suoi testi, quelle liriche ci risultano talmente piene di immagini, personaggi, luoghi e suggestioni che è difficile individuare le sue: “I suoni fanno da sfondo ad un mondo immaginario. Un mondo pieno di guai, affollato di guitti stralunati, strade chiassose e vecchie macchine”.  E’ una musica, la sua, che richiama echi di jazz, di Sudamerica, di melodia tradizionale italiana del secolo scorso, ma anche di musica etnica, in una contaminazione imprevedibile di profumi di Mediterraneo e di Messico, di Cile, di blues teatrale.

 

Flacoleo Maldonado “Flaco” e Vinicio Capossela (Modena, 1.6.22, Teatro Pavarotti) G.Basile © Geophonìe

 

E’ difficile collocare Vinicio in uno scenario musicale specifico, e la sua storia biografica personale talvolta neppure aiuta.  Il 1° giugno 2022, però, nel concerto al Teatro Pavarotti di Modena Vinicio ha festeggiato i suoi trent’anni di carriera (trentadue, per la precisione) davanti a una folla di appassionati e amici (tanti) accorsi a salutarlo e con i quali si è magicamente manifestata quell’atmosfera di familiarità, di affetto e condivisione che ha mostrato a chi ne era estraneo le radici di questo cantautore particolare, apparentemente estroverso e gioviale, ma anche misterioso, tenebroso e criptico, tante sono le sfaccettature che la sua musica e i suoi testi offrono.

Vinicio Capossela e Antonio Marangolo (G.Basile © Geophonìe)

Una musica e un linguaggio complesso, quello di Capossela, talmente denso e ricco di storie, significati, suggestioni, che in questo caleidoscopio si fatica a trovare lui, la sua anima, l’interiorità che si nasconde dietro quei sorrisi goliardici e quelle oscurità notturne che lui espone con un pathos tutto suo, che fa emozionare, commuovere, ma che poi inaspettatamente vira verso una gioiosa socialità fatta anche di storie raccontate, di aneddoti, di presenze o assenze di amici evocati o convocati all’improvviso sul palco, per bere un bicchiere di vino, recitare una poesia, cantare senza regole come in un’osteria.

Vinicio Capossela (Modena, 01.06.22, Teatro Pavarotti) (Giuseppe Basile © Geophonìe)

Il concerto di Modena, nonostante la sfuggente natura di Vinicio, però, è tutto per la città attorno alla quale ha gravitato per anni incrociando i suoi destini con anime elette che lui porta con sè e che stasera esplicitamente celebra. Con lui c’è Antonio Marangolo al Sax, un monumento della storia musicale italiana, di questa musica, quella che dall’Emilia e dal Piemonte ha generato la miscela di jazz, di tropicalismi, di atmosfere cantautorali tipicamente italiane  e cariche di contaminazioni con cui Paolo Conte ha descritto  “un mondo adulto”, quello in cui “si sbagliava da professionisti”, ma c’è anche Enrico Lazzarini al contrabbasso, che durante la serata cede il posto ad un ospite, Glauco Zuppiroli, modenese, uno degli iniziatori assoluti del percorso artistico di Vinicio.

Da sin. Glauco Zuppiroli, Alberto Nerazzini, Flaco e Vinicio Capossela (Modena, 01.06.22, Teatro Pavarotti. – Giuseppe Basile © Geophonìe)

I fidati Zeno De Rossi alla batteria e Giancarlo Bianchetti alla chitarra compongono l’ensamble centrale del concerto che spazia fra tutti i classici del repertorio, tutti brani che il pubblico modenese segue con attenzione perchè conosce perfettamente.

Molti racconti sul Florìda, sulla Stazione Piccola, sui girovaghi notturni di una Modena  diversa da quella che conosciamo si susseguono, sul palco Vinicio si muove come un gran cerimoniere: all’improvviso invita un anziano signore, a suonare e cantare con lui, si chiama Flacoleo Maldonado, detto Flaco, un fondatore del Florìda e un decisivo importatore di ritmi e parole sudamericane, un profugo, un intellettuale, un bevitore.

Si parla, si suona e si canta, anche quando sul palco si aggiunge Alberto Nerazzini, giornalista che spazia tra testi, poesie e ricordi di una modenesità di nicchia, quella legata a un Florìda ove si parlava di Cile, di dittature, di donne e di ritmi da ballo fuori moda, di un altro mondo.

I brani del suo disco d’esordio, “All’una e trentacinque circa” vengono eseguiti quasi tutti, l’omonimo brano viene ripetuto anche come bis, ma il concerto regala anche  “Che coss’è l’amor”, “Non è l’amore che va via”, “Tornando a casa” , “Il mio amico ingrato”“La regina del Florida”, “Ultimo amore” , “Camminante”. Serata modenese, serata mistica in cui la musica di Vinicio e un pubblico competente e appassionato svelano un magico senso di reciproca appartenenza.

Giuseppe Basile © Geophonìe
(06.09.2022)

 

 

 

 

IL CULTO DEI “CULT”

“Sanctuary Of Love”  è il nome della tribute band italiana dei Cult.
Al Beer Garden di Cotignola (Ravenna) il prossimo 17 settembre.

 

Tony D’Amato con Steve Brown. produttore di The Cult (Antonio D’Amato © Geophonìe)

…. “La nostra band è nata in tempi recenti, nel 2018 per amicizia e per la voglia di stare insieme sul palco” – ci racconta con emozione Tony – “con l’idea di rivivere in chiave attuale il sogno di rendere tributo ai The Cult”.

Si tratta in realtà di un sogno già vissuto sin dal 1986 quando Alberto (Voce) e Tony (Lead Guitar) fondarono a Mestre gli Straightway, una garage band gothic rock, una delle tante che nacquero in quegli anni ricchi e intensi di sperimentazione, affascinati dal desiderio di riprodurre la musica del LOVE album di Astbury e Duffy, masterpiece prodotto dal mitico Steve Brown.  Quello fu il loro primo repertorio che includeva pure alcuni brani inediti e qualche cover di Cure, Alarm e U2.

Alberto Corradini e Tony D’Amato (Antonio D’Amato © Geophonìe)

I  Sanctuary of Love risiedono tutti in provincia di Venezia esibendosi nei locali e Live Club che abitualmente amano accogliere la musica gothic rock, ben lieti di proporre anche band definite più di nicchia. Oltre ad Alberto Corradini (voce) e Antonio “Tony” D’Amato (Lead Guitar), la band è composta da musicisti di lunga esperienza, molto noti nel panorama punk, rock e metal del Veneto, come i fratelli Mattia e Marco Manente, rispettivamente bassista e chitarrista, e Andrea “Cipo” Goatin alla batteria.

“Il logo creato per identificare la band è  significativo” – dice Tony –  “poiché rappresenta in primo piano il carattere “gothic” più cupo utilizzato nell’album “Love” intersecato con lo sfondo hard rock di “Electric”fondendo così le due anime musicali dei Cult”.

Fu proprio Steve Brown, colosso della produzione musicale Londinese (produttore anche di Freddy Mercury, Wham, Alison Moyet, e molti altri), ad assumere inaspettatamente un ruolo fondamentale nel confermare i Sanctuary of Love come riferimento per i fans dei Cult nel nord est.

“Ci piace eseguire i brani del nostro repertorio” –  ci racconta Tony – “rispettando le esecuzioni originali e il sound live attuale che i Cult continuano ad offrire nei recenti tour “Electric 13“, “Alive in the Hidden City” e “The Year of A Sonic Temple, 30th Anniversary”.

 

(Antonio D’Amato © Geophonìe)

Dal nome della band è evidente che il sound dell’album “Love” faccia ormai parte del DNA della tribute veneziana mentre “canta di lupi e deserti, di piogge liberatorie, di uomini-ombra e di sacerdotesse del sesso, di visioni mistiche e mitiche fenici” (Breus 2007).

“Nirvana” travolge con la sua dinamica gothic rock dal basso ficcante, “Rain” ci invita a danzare intorno al fuoco invocando la pioggia e “She Sells Sanctuary”, il brano in assoluto più famoso dei Cult, rappresenta la donna che concede il suo grembo, appunto il suo “Santuario” dove “dentro di lei troverò il mio santuario mentre il mondo mi trascina giù”.

 

Tony D’Amato (Antonio D’Amato © Geophonìe)

I Sanctuary of Love partecipano attivamente alle iniziative del fan club internazionale THE CULT FAMILY, a volte anche Insieme ad altri musicisti “guests”, veri devoti dei Cult. Qualche anno fa i Sanctuary hanno suonato allo storico club “Black Star” di Ferrara in occasione della prima convention The Cult in Italia, proprio di fronte all’amico Steve Brown con la benedizione via social da parte di Billy Duffy che per l’occasione inviò un video di auguri a tutta la Cult Family.  “Fu la conferma che il nostro destino sarebbe stato ancora più legato ai Cult”, – ci scrive Alberto, front man e voce dei Sanctuary – “diventando amici di colui che creò e produsse il sound anni ‘80 dei Cult dove per noi tutto ebbe magicamente inizio”.

Alberto Corradini (Antonio D’Amato © Geophonìe)

“Parlai del Medimex proprio con Steve Brown” – ci confida Tony – “e non avrebbe avuto difficoltà a parteciparvi in futuro”. Purtroppo, un male improvviso se lo è portato via a gennaio 2021 lasciando in eredità ai Sanctuary la ferma volontà di proseguire con la loro tribute band, anche per onorare l’amico Steve.

Tony, che ricopre il ruolo di “Billy Duffy” nella band, segue abitualmente i Cult in giro per l’Europa, e spesso ha avuto occasione di incontrare i membri della band prima dei loro concerti. “Sono amico di John Tempesta, il batterista attuale dei Cult” –  continua Tony – “con il quale sono spesso in contatto: ci si vede sempre prima dell’inizio di un loro concerto. John è un batterista talentuoso, pur rimanendo una persona semplice sempre disponibile con tutti…. Il sangue italiano non mente!”.

Una simpatica coincidenza, Tony, con il nickname Instagram “tonythecult”, ama fotografare la band dei Cult ad ogni concerto e alcune sue foto sono state scelte proprio da Billy Duffy e da Mick Peek (fotografo ufficiale dei Cult) per rappresentare nella pagina web ufficiale di Billy, le immagini del tour “Hidden City”, https://www.billyduffy.com/news/more-alive-in-the-hidden-city/

Un curioso aneddoto: Tony nel 1986 si vestì esattamente come Billy Duffy nel video di “She Sells Sanctuary” per un servizio fotografico. “Mostrai a Billy Duffy questa foto in bianco e nero di me adolescente prima di un recente concerto e Billy mi chiese di poterla autografare.

Ovviamente risposi che sarebbe stato un onore! Immaginate la mia emozione quando Billy mi guardò negli occhi e poco dopo autografò la foto con dedica scrivendo “Almost… Billy Duffy”. Si tratta in fondo di amicizia, pace e amore ….. “Love Obviously, very soon, everybody”.

Giuseppe Basile © Geophonìe
(06.09.2022)

 

LA GIOIA DI VIVERE DI HUNT SALES, DOPO IGGY POP, BOWIE E TIN MACHINE

Hunt Sales Memorial, ‘Get Your Shit Together’ 2019, © Big Legal Mess / Fat Possum Records

[English version here]

Due chiacchiere con Hunt Sales, celebre batterista del rock evolutivo di fine ’70 in America. Collaborò per anni con Iggy Pop e David Bowie. Era sua la batteria travolgente di “Lust for Life”, brano che diede il tiolo all’epico album di Iggy Pop nel 1977. In Italia potemmo vederlo dal vivo solo nell’ottobre 1991 con David Bowie e i Tin Machine al Teatro Brancaccio di Roma. 

Nel 2019 un’etichetta americana denominata Big Legal Mess / Fat Possum Records ha dato alle stampe un prodotto discografico inatteso. Si tratta di un lavoro solista realizzato da un musicista di lungo corso, ma che solo in età avanzata ha deciso di costruire un “esordio” artistico a proprio nome. Stiamo parlando di Hunt Sales, batterista americano con alle spalle un curriculum sbalorditivo, dal rock’n’roll al blues,  al jazz dixieland, e che ha spaziato ovunque nella grande musica americana,  sempre al fianco di star assolute.

In Italia lo conoscemmo per via della sua dirompente batteria che accompagnò Iggy Pop in quel momento di trasformazione, così evolutivo, della seconda metà degli anni 70. Hunt Sales era con Bowie nella fase berlinese della trilogia, ma noi italiani lo vedemmo per la prima volta solo nel 1991 al Teatro Brancaccio di Roma per due serate irripetibili, alla batteria dei Tin Machine, e avemmo modo di comprendere come Hunt Sales fosse un batterista d’avanguardia, persino quando interpretava un genere quasi retrò: si trattava in realtà di un retrò opportunamente rielaborato, come appunto i Tin Machine seppero fare in quei due dischi incredibili dei primi anni 90, producendo coraggiosamente una musica totalmente contraria a quella che i nuovi venti del brit-pop stavano diffondendo.

Questa produzione solista di Hunt Sales dunque ci ha colpito, perchè non accade mai di realizzare un esordio con un lavoro che in realtà rappresenta una sorta di memoriale, anche sonoro, e culturale. Nel disco “Get Your Shit Together”, sulla cui copertina, infatti,  campeggia in grande la scritta “Memorial”, ci ritroviamo ad ascoltare una miscellanea di suoni profondamente americani, una commistione di vecchio rock’n’roll ma anche di echi di sonorità blues mescolate a quella energia vagamente punk-evolutiva che contrassegnava i suoi lavori con Iggy Pop e altri artisti dell’età di mezzo.

Hunt Sales mentre interpreta il brano “Sorry”, con i Tin Machine al Teatro Brancaccio di Roma, 10.10.1991 (Marcello Nitti © Geophonìe)

La sua storia, quindi, attraverso questa sua pubblicazione, ci ha incuriosito: una storia di vagabondaggio, di droghe, di percorsi itineranti e trasversali tra  generi musicali diversi che sinora aveva probabilmente occultato la direzione artistica interiore che Sales serbava in sè stesso, e che oggi invece affiora.

Sig.Sales, non è facile decidere da dove  cominciare,  ma in qualche modo dobbiamo pur  “rompere il ghiaccio” , come si dice in Italia. Tu hai un’ottima reputazione come musicista e hai sempre dimostrato una forte coerenza musicale con chiunque tu abbia lavorato. Possiamo immaginare che tu abbia sempre suonato con musicisti vicini al tuo feeling, ma che ricordi hai dei tuoi inizi come musicista?  Ti sentivi sicuro o avevi paura di non fare bene?
“I miei ricordi degli inizi sono legati alla persona che diede impulso sin dall’inizio della mia carriera al mio amore per la musica,  Earl Palmer, un famoso batterista di New Orleans che aveva lavorato con Little Richard e Fats Domino. Ero a una sessione di registrazione a 6 anni e lo vidi suonare durante la sessione,  lo incontrai  quando lavorò su uno dei dischi di mio padre e ha cambiato la mia vita. Il fallimento non è mai stato un’opzione: non che io non abbia avuto fallimenti, ma – come si suol dire –  solo  chi non prova fallisce”.

-Quando alla fine degli anni ’70 suonavi con Bowie e Iggy Pop insieme a tuo fratello Tony, molti lodavano il tuo lavoro e l’intro che suoni nella canzone “Lust for life” rimane memorabile. Un “culto” che ancora affascina e produce energia e chiarisce come deve essere il “Rock”! Cosa puoi dirci di quel riff mozzafiato che suoni, che conservi per tutta la canzone e che ritroviamo nel film “Trainspotting”? Com’è nata l’idea della parte di batteria di quella canzone?
“ Si basa su diverse cose. Uno, Motown, “You Can’t Hurry Love”, “George of the Jungle” che è tratto da un cartone animato, e “Armed Forces Radio” a Berlino, in Germania, che è qualcosa che ho sentito molto mentre vivevo a Berlino con Iggy e David. Ho mescolato tutto insieme, e come molte cose nella musica non c’è niente di nuovo, o è come lo prendi in prestito o prendi un’idea per un’altra idea e la fai tua”.

Hunt Sales, Roma, Teatro Brancaccio, 10.10.1991 Marcello Nitti © Geophonìe

-Hai partecipato a due importanti svolte musicali di David Bowie e Iggy Pop, sempre in compagnia di tuo fratello Tony al basso nel periodo berlinese 1976-1977 e con Tin Machine a Montreux e in altri studi di registrazione. Anche oggi la tua interpretazione della canzone “Sorry” rimane una delle migliori canzoni del secondo album dei Tin Machine. Cosa ne pensi dell’esperienza con i Tin Machine oggi? È stato fatto tutto quello che volevi fare con Tin Machine?
“La cosa buona dei Tin Machine è che mi face suonare di nuovo la batteria. Prima dei Tin Machine avevo fatto molto arrangiamento e produzione per altri, ma non molto percussioni. Ovviamente lavorare con David, dopo così tanti anni dopo il 1976-77 con Iggy Pop, essere diventato un po’ più grande e ritrovare David, è stato fantastico”.

Finalmente per chi ama la tua musica è uscito il tuo primo album solista intitolato Hunt Sales Memorial “Get Your Shit Together”. Tu dici in “One day” :  sono solo. Cosa significa per te la solitudine? E’ un modo per fuggire dallo stress della vita, o trovi invece in essa qualcosa che ti dia più creatività?
 “Non si tratta di essere soli. Non si tratta di solitudine. È qualcosa di più, come stare con molte persone, amici di famiglia o sconosciuti e sentirsi soli. Ha più a che fare con un viaggio nella propria  testa,  piuttosto che alla sensazione di non appartenere o adattarsi. E’ un sentimento condiviso da molte persone, come l’outsider, il tossicodipendente, l’alcolizzato. Il sentirsi soli è una sensazione universale. Le persone dicono di sentire un vuoto in loro che non viene mai colmato. Ha a che fare con tutto questo, e anche più”.

Tin Machine, Roma, Teatro Brancaccio, 10.10.1991 Marcello Nitti © Geophonìe

-Oltre all’energia pura, cosa deve esserci in una canzone che suoni? Un testo di una storia vera?
“ Spero che in un modo o nell’altro qualcosa con cui posso relazionarmi debba essere nella canzone che darà il via a un sentimento, o a sentimenti che mi ispireranno. Speriamo che l’ispirazione sia condivisa anche con l’ascoltatore”.

-Il tuo primo album da solista è così reale, secondo me, e mostra il tuo brillante talento come compositore. Anche il tuo modo di cantare è caldo e ruvido nel modo giusto e questo non è comune per un batterista. Cosa c’è di magico per te nel tuo album?
“Ho una band e questa band è composta da me e da un ragazzo di nome Tjarko Jeen che viene dall’Olanda. Ho messo insieme questa band, The Hunt Sales Memorial, 10 anni fa,  la verità è che l’opportunità si è manifestata in un momento marginale della preparazione, il chè significa che ero preparato dopo aver provato centinaia di ore con questo gruppo e aver suonato nel corso degli anni. Quando si è presentata l’opportunità di fare il disco, ero preparato. Il disco è stato fatto alla vecchia maniera, in un lasso di tempo molto breve come i dischi degli anni Sessanta e Cinquanta”.

– Ti piacerebbe fare una serie di concerti in Europa?
“Sì, lo farei. Sto cercando il promoter giusto” .

– Ti senti completo come musicista o pensi che ci sia sempre qualcosa da imparare?
Sì, c’è sempre qualcosa da imparare”.

Cosa sono i sogni per te, signor Sales?
“Venire in Europa e buttare giù tutto”.

Marcello Nitti  © Geophonìe
riproduzione riservata.

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Astrid Hallén. Alla terza nuvola, continua avanti.

© Johan Ahlbom

Comprendere la propria attitudine e lavorarci con passione  è il valore che Astrid Hallén persegue per esprimersi interiormente nella recitazione. Un sogno, quello di recitare, che viene da lontano o, semplicemente, il vero desiderio, che in assoluta naturalezza è per Astrid esaltante, nel vivere questa bellissima avventura di essere se stessi cambiando pelle. Raggiungiamo Astrid in video chat per conversare di quello che sta diventando la sua professione e di come sono stati i suoi inizi nel mondo della recitazione. Astrid risponde dalla lontana Svezia e circondata da piante verdissime che sembrano darle linfa ed energia per il suo lavoro le chiediamo subito quanto ami recitare: Vogliamo parlare della tua personale esperienza nel mondo della recitazione?

© Johan Ahlbom

Recitare è il sogno della mia vita e la perseguo con dedizione. Voglio fare bene e la mia concentrazione è massima. Sento che è parte di me e non semplicemente un lavoro. Il mio impegno è volto a migliorarmi e a scoprire nuovi angoli nascosti di questa bellissima professione. Dedico il mio tempo a provare nuovi testi e a volte uso il mio telefonino per filmarmi e rivedermi. E’ importante capire dove recito meglio e in cosa devo migliorare. Astrid è svedese e naturalmente la conversazione si svolge in inglese. E’ molto attenta e scorgo una attenzione a spiegare per bene quello che lei vuole trasmettere anche dalla nostra semplice conversazione. Parlare del mio lavoro di recitazione è come spiegare un po’ come siamo fatti e voglio aggiungere che recitare per me è come esplorare un mondo nuovo. Inoltre si ha un contatto particolare con se stessi e quando studio un nuovo dialogo di una sceneggiatura è come immergersi in una nuova fantastica avventura. Chiedo ad Astrid quali sono stati i suoi primi passi nel mondo della recitazione e se ha sostenuto particolari studi:

© Tim Kristensson

Ho studiato in una scuola che si chiama Sinclair a Uddevalla  a 16 anni e lì ho imparato molto come recitare. Si recitava tutti i giorni e la mia forza di volontà ha fatto il resto. Posso dire di essere autodidatta anche se le basi le ho avute al Sinclair. A 16 anni ho incominciato a vivere da sola e a potermi concentrare su quello che veramente volevo studiare. Recitare. Continuando a dialogare con Astrid le chiediamo di coinvolgerci maggiormente nelle sue idee e opinioni riguardante il suo mondo della recitazione. Mi piace molto seguire il regista che mi consiglia e mi chiede, e nello stesso tempo cerco di improvvisare, considerandola come una sfida ad avere più forza interiore nello spingermi a capire le mie possibilità. Bisogna viverlo il momento, e metter fuori i propri sentimenti. E’ un gran momento in cui avviene un bellissimo contatto con me stessa. Sento come espandere la mia vita e renderla più grande e più intensa tutte le volte che recito.

© Anna Osk Erlingsdottir

Nel cuore della conversazione,  Astrid mi spiega che : Sai, trovo molta ispirazione nell’incontrare nuova gente con cui potermi confrontare sulle idee. E’ essenziale aprire dialoghi con mentalità differenti ed io in particolare lo trovo molto stimolante per il mio lavoro. Anche  leggere o vedere film accresce in me la fantasia e l’entusiasmo per esprimermi nella recitazione.

© Johan Ahlbom

E qui che Astrid da sola mi parla della sua esperienza più importante ….. La mia ultima esperienza di recitazione è stata quella di prestare la mia voce e la mia emozione di donna in un corto di Monica Mazzitelli. Una bravissima regista italiana che vive in Svezia e con la quale ho partecipato al suo “The Wedding Cake”. Sai, un corto a sostegno della condizione della donna nel mondo il cui tema è da me condiviso con molto interesse. The Wedding Cake ha avuto la sua anteprima mondiale in Islanda, al Reykjavík Feminist Film Festival, dove ha vinto il primo premio. Due settimane dopo c’è stato il debutto al più importante Festival del cinema scandinavo, il “Göteborg Film Festival” in Svezia. Sono poi seguite molte altre vittorie e nominations internazionali e questo è stato per me un’enorme soddisfazione. Aver potuto partecipare a questo progetto  e lavorare con la regista italiana è stato molto gratificante e in maniera inaspettata è arrivato anche il successo perché il corto ha vinto il primo premio al concorso del “Feminist Film Festival’s International Sister Competition” a Reykjavik.  Il mio incarico era di narrare con la mia voce la storia di una donna alle prese con le avversità della vita. Anche se sono stata solo la voce narrante, sentivo molto dentro di me il carattere del personaggio che dovevo interpretare e nello stesso tempo sapevo che il mio lavoro sarebbe dovuto arrivare alle donne del mondo affinché ricevessero solidarietà. Sicuramente uno dei ruoli più importanti che io abbia realizzato. Astrid mi coinvolge con le sue parole e il dialogo diventa molto interessante quando affrontiamo l’argomento che riguarda la scena femminile nel cinema o nel teatro in Svezia. Sai Marcello, da quando il movimento #metoo è diventato globale c’è stato molto fermento nel mondo femminile della recitazione e anche da noi in Svezia ci sono molte nuove sceneggiature. Penso che stiamo vivendo un periodo intenso per l’interesse a portare sul palcoscenico o sullo schermo nuove storie, e soprattutto provenienti dalla realtà. Rimane sempre una realtà conservatrice nell’industria del cinema. I ruoli che mi hanno affidato sono quasi sempre molto femminili, come essere una moglie, o una fidanzata. Ho recitato in produzioni video musicali e i miei ruoli erano quelli tradizionali per una donna. Mi piacerebbe molto recitare in ruoli nei quali la donna ha una presenza forte e di comando o rappresentare uno strano personaggio femminile anche per crescere in nuovi ruoli. Quindi recitando senti che la tua autostima cresce? Si può dire che recitare accresca sicurezza e determinazione? Penso di si. Perché no. Dai differenti ruoli che si interpretano, a poco a poco si impara sempre di più e l’autostima arriva quasi spontaneamente. Se il ruolo ha bisogno di una persona con autostima allora recitando quel ruolo io cresco e diventa qualcosa di unico dentro di me.

© Sean McLatchie Lewthwaite

Nel dialogare con Astrid non si poteva non conversare sui suoi preferiti nel cinema, registi e attori …. Mi piace molto vedere come recitano alcuni attori e tra i miei preferiti ci sono quelli che recitano sembrando se stessi,  mi piace anche vedere l’unicità di un set di come è stato preparato. Non gradisco scene già viste perché l’originalità nel cinema per me è importante. Ci sono molti film che si assomigliano e ovviamente preferisco nuove storie originali. Se sento di aver appreso qualcosa da un film allora posso dire che mi è piaciuto e che è un film importante per me e la mia carriera. Tarantino mi piace e anche Spike Jonze che ha diretto “Essere John Malkovich” che mi è molto piaciuto e ha diretto diversi video musicali. Tra le attrici Uma Thurman e non dimentico la bravissima Cate Blanchett. Auguro ad Astrid Hallén una splendida carriera e il sole che spunta dalle nuvole sembra essere di buon auspicio. La nouvelle vague del cinema Svedese si completa con questa interessantissima attrice.   Marcello Nitti © Geophonìe 27 Giugno 2020 Diritti riservati

Foto di copertina © Peter Gaudiano