Il libro per Borland di Basile e Nitti

Geophonìe ha pubblicato il volume documentaristico di Giuseppe Basile e Marcello Nitti realizzato in collaborazione con Robert Borland.  La presentazione ufficiale è fissata a Taranto, il 23 dicembre 2016 ore 18, presso il Nautilus Caffè.

Giuseppe Basile e Marcello Nitti, documentaristi italiani, sono gli autori di questo nuovo saggio di critica musicale che ricostruisce l’intera storia di The Sound e  di Adrian Borland valorizzando il patrimonio completo delle liriche da lui composte dall’esordio dell’80 sino al 99  (ISBN 9788890306327, Euro 32,00).  Il volume, in lingua italiana, composto di 240 pagine a colori, contiene 138 brani in lingua originale con annessa traduzione italiana, 270 immagini (molte delle quali inedite), interviste esclusive e documentazioni di critica musicale internazionale, recensioni, articoli di stampa europea e commenti raccolti nel corso della carriera della band e di quella individuale di Adrian.

walking in the opposite direction - movie

Locandina del Film (IDFA, Amsterdam 2016)

Disco per disco, da “Jeopardy” del 1980, sino ad “Harmony & Destruction” del 1999, il volume documenta e approfondisce i contenuti “letterari” dell’opera di Borland, che con la sua particolare scrittura riflessiva, unica nel panorama del punk-new wave degli anni 80 e successivi, ha conferito dignità ad un genere musicale che per i contenuti testuali è sempre rimasto poco conosciuto e studiato.

Il libro offre un importante contributo alla riscoperta dell’arte compositiva di Adrian Borland  ed è la storia di una grande vittoria, giunta a distanza. Il valore artistico di queste liriche, infatti, anche se ormai riconosciuto, non era ancora stato adeguatamente divulgato, circostanza che ha indotto Basile e Nitti  a realizzare questa preziosa pubblicazione che segue al noto libro del 2007 “80 New Sound New Wave. Vita, Musica ed Eventi nella Provincia italiana degli anni ‘80” (Geophonìe, 9788890306303 ISBN), con cui gli autori esordirono.  

 

La première del Film “Walking In The Opposite Direction” (IDFA Amsterdam, Melkweg Theatre, 19.11.2016) © Jean-Paul Van Mierlo

 

 

“E’ di gran pregio il percorso artistico compiuto da Adrian Borland”, dice il gruppo operativo dell’Associazione Culturale, “svelarne e divulgarne l’opera attraverso la lettura delle sue liriche costituisce un’importante iniziativa culturale che andrà a colmare una lacuna editoriale del giornalismo musicale di questi anni”.

Il lavoro di Basile e Nitti, dunque, questa volta parte dai testi e trova il suo completamento in un’altra produzione internazionale, costituita dal film-documentario “Walking In The Opposite Direction” realizzato tra Olanda e Inghilterra dai produttori Jean-Paul Van Mierlo e Mark Waltman e selezionato al Festival Internazionale dei Documentari di Amsterdam (IDFA). Il Trailer del film  era in circolazione già da tempo, ma  la première ufficiale si è svolta ad Amsterdam solo lo scorso  19 novembre nel Teatro Melkweg. (https://www.youtube.com/watch?v=bI5xxXvB_Bs).

Nella stessa serata il volume di Basile e Nitti è stato consegnato agli addetti ai lavori, produttori, operatori, musicisti e intimi amici di Adrian Borland e The Sound.

 
Robert Borland, anziano padre del musicista scomparso, assente per motivi di salute alla grande manifestazione, aveva infatti avviato parallelamente – con Basile e Nitti, e con Jean-Paul Van Mierlo – i due progetti del libro e del film-documentario: tutto ciò prese inizio nel 2011 e da allora i due lavori sono cresciuti di pari passo e basandosi sui medesimi materiali messi a disposizione dal padre. Per questa ragione libro e film appaiono fortemente connessi.
 

Carlo Van Putten esegue brani dei Sound dopo la première del Film (IDFA Amsterdam, 19.11.2016) © Jean-Paul Van Mierlo

 

“Il film è un sicuro successo nella sua categoria come documentario” – dice Giuseppe Basile, presente ad Amsterdam con Mike Dudley (batterista di The Sound), con Patrick Rowles e James Ingham (musicisti che collaborarono con Adrian nella sua carriera solista) e con Rients Bootsma (il gestore del sito www.brittleheaven.com) –  “girerà nei festival cinematografici di mezzo mondo, stiamo lavorando anche per l’Italia”.
 
Sono certo che tutto questo darà valore anche al nostro libro, lo abbiamo realizzato con una passione e una meticolosità estrema, perché siamo sempre stati grandi ammiratori di The Sound, di Adrian e sempre affascinati dalla sua storia. E’ stato emozionante per noi scoprirla e scriverla. E abbiamo dovuto farlo armati di senso di responsabilità: avvertivamo il peso dei testi di Adrian,  maneggiarli ci ha imposto un’attenzione massima, ma sentivamo anche un gran debito verso il padre, che seppur conoscendoci appena, aveva aderito al nostro progetto, fidandosi ”.
I 138 brani comprendono l’intera produzione dell’Artista lungo tutto l’arco della sua carriera (5 dischi con The Sound, e 6 dischi da solista). “E’ la Distant Victory di Adrian” – continua Basile – “quella che lui cantava nel brano Total Recall”.
Non sarà certo un caso che la nota traccia d’apertura, “I Can’t Escape Myself” del disco “Jeopardy”, esordio della band del 1980, oggi figuri nella colonna sonora della fiction televisiva “The Young Pope”, produzione internazionale del premio Oscar Paolo Sorrentino.
 
15.12.2016 © Geophonìe

Rokia Traorè, 6 settembre 2016, Reggio Emilia Campo Volo

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Rokia Traorè, 06.09.2016, Reggio Emilia (Giuseppe Basile © Geophonìe)

Assistere a un concerto di Rokia Traorè è  esperienza ormai  inusuale, vista la misura di assuefazione raggiunta dal pubblico a sonorità finte, sintetiche e digitali. Come pure assai  inusuale, in uno spettacolo, è ritrovare  la sensazione di sprofondare nella contemplazione di una dote ormai sconosciuta alla maggioranza degli artisti oggi in circolazione: la naturalezza. E’ un concerto naturale, quello di Rokia Traorè: come la Terra, il Cielo, gli Alberi, i Sentimenti, l’Energia. E naturali sono le sonorità, saldamente africane, ove solo gli arrangiamenti rockeggianti  (sovrastrutture) ne scalfiscono il tessuto. Come naturale, liberatorio, esplosivo, è il ballo di lei sul palco, un concentrato di energia gioiosa, di energia “buona”, quella capace di annientare il male, il dolore, le debolezze,  le fragilità dell’animo umano. Rokia Traorè è un personaggio di un magnetismo unico al mondo, quelli che la conoscono lo sanno bene, e sono tutti d’accordo, unanimamente, nel riconoscerle la statura di artista internazionale di prima grandezza. Un gigante, una grande regina africana, chiara, limpida, lineare nelle sue idee, saggia. La sua musica è lo specchio esatto di questa saggezza. Una saggezza che implica conoscenza, studio, dedizione, sia alla musica che all’anima. Il concerto del Campovolo, dopo un pomeriggio di intensa pioggia che lo ha messo a rischio, è un concentrato di questi valori, musicali e di contenuti. Senza pose da diva, senza fronzoli inutili, lo spettacolo è tutta sostanza. Sostanza e bellezza. Gioia. Con momenti di crescendo travolgenti, ritmiche afro e accelerazioni fino a stati di ebbrezza, ma anche nenie africane ipnotiche che nell’ossessiva ripetizione, come un mantra, ti conquistano lentamente sino ad avere totalmente ragione di te.

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Rokia Traorè, 06.09.2016, Reggio Emilia (Giuseppe Basile © Geophonìe)

Un rituale africano, quello della lenta, inesorabile vittoria schiacciante, che nella lucida combinazione di sonorità acustiche, disturbate solo da una splendida chitarra elettrica graffiante e distorta, trova la sua piena realizzazione. La voce di Rokia, poi, è incantevole, flautata, con quei vibrati che lei sprigiona con naturalezza, come fossero qualcosa di semplice, di immediato, e che invece sono il frutto di una lunga storia di disciplina vocale e di professionalità.

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Rokia Traorè, 06.09.2016, Reggio Emilia (Giuseppe Basile © Geophonìe)

Lei, quella voce, la modula con variazioni improvvise, anche con prove di forza, e momenti di rabbiosa intensità come certi brani drammatici del suo penultimo disco “Beautiful Africa” del 2013, lavoro eccelso che lascia stupefatti, ma che Rokia ha utilizzato meno del previsto nel concerto di Reggio Emilia, privilegiando com’è giusto l’ultimo suo lavoro, “Nè So”, con cui prosegue il suo percorso di commistione di tradizione e modernità, tra sonorità ambient acustiche tipiche del Mali di Ali Farka Tourè e  ritmiche intermedie tra rock e funky che dal vecchio afrobeat di Fela Kuti giungono rielaborate fino ai giorni nostri: operazione, questa, che  come molti artisti afro-francesi stanno in questi anni stanno realizzando.

Negli ultimi dieci anni non ricordo un solo artista, nel quale mi sia imbattuto, che sia stato capace di trasmettermi pari emozioni. La band di supporto è affiatata, potente e intrisa di un unico e corposo sound, un tessuto sonoro in grado di produrre un effetto talvolta straniante, talaltra unificante e travolgente, capace di condurre il pubblico nei territori dell’interiorità come dell’euforia collettiva, fino a culminare nel ballo  smodato, libero, senza freni. La performance di Rokia, insomma, è di quelle che andrebbero portate sui massimi palcoscenici italiani, in una cornice diversa da quella offertale in una piovosa serata di festival di fine estate, ma che ieri sera lei, ugualmente,  ha subito saputo conquistare, senza alcuna fatica e già dal primo brano, a discapito del freddo  e del disagio climatico presto dimenticato da un pubblico facile preda delle note, in balìa di un canto difficile da dimenticare.

Giuseppe Basile © Geophonìe

King Crimson verso il Tour mondiale

Alla vigilia dei concerti americani, Marcello Nitti intervista brevemente Pat Mastelotto.

NY_65La band di Robert Fripp partirà da Albany (NY) il prossimo 9 settembre per una serie di concerti negli Stati Uniti a Filadelfia, Boston, New York, Chicago, Los Angeles, San Francisco, Seattle: e la notizia lascia ben sperare per un prosieguo del tour sui palchi europei.

“Tutti i Crimson hanno espresso grande entusiasmo all’idea di un ritorno”, aveva dichiarato Robert Fripp  sul sito della band lo scorso autunno quando l’idea di una reunion era stata ventilata per la prima volta.  “Dati i notevoli impegni di tutti i membri ci vorrà un anno prima che i King Crimson siano in grado di realizzarla. Immagino ci limiteremo a un calendario circoscritto al mese di settembre 2014″ . E fedele alla sua parola, un anno dopo, Fripp ha reso note le date che sono ora in programma.

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Pat Mastelotto

Marcello Nitti ha provato a raccogliere qualche notizia in più da Pat Mastelotto, portentoso drumner statunitense ormai stabile nella band  dal lontano 1993.  I King Crimson, com’è noto, tra le band più innovative nella storia della musica del secolo, hanno dato vita a svariate fasi della propria incredibile carriera, restando sempre ai vertici assoluti della creatività e della sperimentazione sonora e compositiva.
Ogni metamorfosi del gruppo è stata caratterizzata da una line up diversa, e l’attuale formazione – che sarà l’ottava nella storia della band – vedrà questa volta sette membri, “quattro inglesi e tre americani, con tre batteristi. Si tratta di una configurazione diversa dei King Crimson rispetto a prima. Alcuni sono nomi familiari, forse più di altri”, ha dichiarato sempre Fripp alla rivista Uncut (1)

Quest’ultima  line-up  sarà composta da Fripp, Gavin Harrison, Bill Rieflin, Tony Levin, Pat Mastelotto, Mel Collins e Jakko Jakszyk. Sono tutti ex membri Crimson, tranne Rieflin e Jakszyk che sono stati coinvolti in progetti collaterali dei Crimson per alcuni anni. Rieflin ha collaborato con Chris Wong, Robert Fripp e Toyah Willcox in un progetto chiamato The Humans, mentre Jakszyk  ha realizzato nel 2011 il disco denominato A Scarcity Of Miracles, nella formazione trio “Jakszyk  Fripp & Collins”, ma con la collaborazione di Tony Levin e Gavin Harrison.

The Crimson Projekct

Photo © Jonathan Armstrong

Difficile, come sempre, intuire la direzione delle nuove sperimentazioni,  le mutazioni genetiche del Re Cremisi,  la costante ricerca del superamento del limite.

Mr. Mastelotto, starting a new KC adventure do you think is there finally the opportunity to say/play anything  you missed to do in this fantastic band?
The opportunity was, and still is, always there. Robert encourages the musicians in King Crimson to go where we haven’t gone before.

Have you anything straight in your mind about what you would like to experiment this time? Did Fripp ask in this time anything different from you?
No Robert has not asked anything new from me.  And Yes we have many new rhythmic adventures being planned for the three current king crimson drummers.

Do you think, inside of you, that to play in this band means to give the maximum creativity?
Yes.

The Crimson Projekct

Photo © Jonathan Armstrong

Which is a KC song from the 70’s that you would like to play live and you never did yet?
Great Deceiver, is a KC song I have always wanted to play and have suggested many times for Stick Men to learn it because I think it would play very well on Chapman Stick ….  perhaps next year?

With Jakko and with 3 drummers this could be easy to think that the band could be aggressively melodic and that maybe some songs from  70’s could be part of the 2014 set list. Isn’t it?
It is!

Would you like to realize a new KC album? Or at least more than one in the future? I don’t want to know if is already in the KC plans …. I want just to know if you would like that.
Yes I would like that very much!

The Crimson Projekct

Photo © Jonathan Armstrong

Fripp ha sostenuto  una disputa legale con la Universal Music Group per sei anni,  solo recentemente risolta, e per la quale  vennero interrotte le performance dal vivo. L’ultima esibizione pubblica della band risale al 2008, mentre Fripp dal vivo manca dal 2010.  “Ci sono piani” – dice sempre alla rivista Uncut  –  “per i nuovi King Crimson e per entrare in studio. Realizzeremo versioni  differenti di materiali dei Crimson . Ci saranno prove soprattutto in Inghilterra, e il lotto finale delle prove sarà probabilmente in America in agosto o settembre 2014.  C’è un progetto per includere il Regno Unito nelle date del tour, ma dipende da una serie di circostanze”.

Marcello Nitti © Geophonìe
2014. Diritti Riservati.

  1. http://www.uncut.co.uk/king-crimson-unveil-new-line-up-and-2014-tour-plans-news

ROCKSPEL: PROVE DI “GOSPEL IN ROCK”

www.rockspel.com

La band modenese, è alla vigilia della pubblicazione della propria prima fatica discografica, con cui finalmente dà alle stampe il frutto di due anni di sperimentazioni vissute on the road in Emilia e dintorni.

Riuscire a trasmettere un messaggio culturale in musica è impresa ardua. Specie oggi, tempi in cui il messaggio non è quasi richiesto, e la schiera dei musicisti che non ci provano nemmeno più cresce a dismisura.

Molti ormai suonano e basta, comunicano solo attraverso le note e le sonorità, e forse anche per questo difficilmente poi riescono ad elevarsi e differenziarsi dal magma, dall’orgia di suoni che ci avvolge rumorosamente.

Di musica in giro ce n’è sempre, e in abbondanza, più che in ogni altra epoca, e certo più del necessario. Ma di carisma, di magnetismo, sempre meno. Misteri della comunicazione.

Sfortunati i musicisti contemporanei, verrebbe da dire.

Negli anni ‘60 e ‘70 la ricerca del messaggio era così spasmodica che l’indagine sui significati finiva col travisare completamente il loro lavoro: se i contenuti e gli ideali erano carenti, o del tutto assenti, le intenzioni più improbabili le si andavano a ricercare anche laddove un artista non aveva neppure pensato di collocarle, nell’immagine di copertina di un disco, nel titolo “forse-volutamente-criptico”, nei versi, che venivano riletti e reinterpretati tra mille supposizioni, suggestioni e dietrologie.

La voglia di contenuti era famelica. Erano anni in cui la musica, oltre che forma di espressione artistica e prodotto commerciale, per molti era assurta a filosofia: se ne indagavano i significati più reconditi analizzando minuziosamente ogni traccia, cercando di carpire messaggi nascosti, stati d’animo degli artisti, ragioni e pensieri inespressi.

Il musicista, insomma, era una sorta di oracolo, e quel bisogno collettivo d’immedesimazione era tale da elevare la sua arte musicale sino a sovraesporla.

Oggi invece accade che se un musicista, oltre a suonare, si azzarda anche ad esprimere una qualche sua specifica idea, sulla vita e sul mondo, viene immediatamente percepito come invadente e importuno.

Perché dovremmo stare qui a sentirci una predica? Perché un musicista ritiene che a me, utente occasionale, possa importare qualcosa del suo punto di vista?

Ciò che in passato ci appariva un passaggio obbligato per gli artisti (costretti a dire qualcosa anche quando non avevano nulla da dire), oggi ci appare un gesto retrò, ridondante, non necessario, un’espressione di supponenza.

Non rendiamo allora un favore ai ROCKSPEL e al loro progetto se mettiamo sull’avviso il pubblico spiegando che la proposta artistica di questa band modenese è nata, e si è incentrata, partendo anzitutto dai contenuti. Se li presentiamo così, chi decidesse di andare ad assistere a un loro show potrebbe pensare di andare a sorbirsi una predica.

In realtà, si tratta essenzialmente di rock-blues, e di predica ce n’è ben poca. Anzi, troppo poca, perché per un progetto come quello che loro perseguono, qualche parola in più proferita dal palco ci starebbe.

E’ una strana alchimia, quella dei Rockspel, perché nasce da una storia originale che non siamo abituati a sentirci raccontare.

Una chiesa protestante carismatica di Modena, “Gesù fonte di acqua viva”, che fa capo al Kingdom Faith ad Horsham nel Sussex utilizza la musica come strumento cardine dei propri culti. Una funzione religiosa può ben arrivare a ricomprendere più ore di canto e di musica. “La nostra chiesa ha un palco predisposto per musicisti e cantanti”, dice Grazia Mimmo, lead singer dei Rockspel, “perché la musica nel nostro culto ha un ruolo assolutamente centrale. Si comincia con essa per lodare Dio e si continua utilizzandola come strumento di adorazione, sino a una comunione profonda con Lui. Al di fuori del culto la musica si utilizza anche come veicolo di evangelizzazione”

Sembra un’ambientazione da film americani, superficialmente ti verrebbe da pensare alle caricaturali performance dei Blues Brothers, e a tutti quegli Halleluja che i grandi rockers degli anni 50 e 60 proferivano dal palco al termine di ogni indiavolata canzone, tra ancheggiamenti, piroette, balli scatenati e cori. Ma quelle sono note di colore tipicamente cinematografiche, la realtà non è certo così. Vero è che nelle chiese protestanti le proposte musicali sono più “disinibite” e libere da cliché, con modalità magari più varie rispetto alla cantata piatta e da sottofondo delle chiese cattoliche, talvolta con maggiore ricerca sonora e vocale e diverse influenze. “Nei nostri concerti facevamo gospel classici”, continua Grazia, “e quindi, anche se questo ci consentiva di esibirci in giro, d’altra parte però ci limitava alla sola frequentazione di certi circuiti, teatri, piazze, in periodi dell’anno particolari come a Natale, e sempre nell’ambito di manifestazioni specifiche”. La musica che si produce nelle chiese protestanti, infatti, è per sua natura più esportabile, più votata all’esterno, di solito è anche più godibile dagli utenti: ma se resta solo nell’ambito del gospel classico rischia di svilupparsi secondo schemi abbastanza fissi e ripetitivi.

Avevamo voglia di proporre e suonare musica cristiana”, spiega allora Valerio Corvino, batterista e coniuge, “ma per entrare in un circuito diverso, quello dei pub e dei club, per introdurre il nostro background gospel dovevamo rielaborarlo in un linguaggio musicale adatto a questo tipo di posti e di pubblico. Abbiamo sempre cercato uno spazio rock blues per la nostra comunicazione artistica: è stato così che abbiamo deciso di portare il gospel sulla nostra strada”.

Il gruppo si forma a Modena nel 2009 e gravita nell’orbita della Contemporary Christian Music, movimento socio-musicale di respiro internazionale poco presente nel panorama italiano.

Nel mondo anglosassone il tema religioso è preponderante nei contenuti, nei testi e nell’ispirazione musicale: si parla di Dio senza inibizioni”, continua Grazia. “Un musicista spagnolo mi fece notare come nel mondo neolatino sia rarissimo che un autore affronti apertamente temi religiosi. E mi raccontò di aver avuto successo con un brano in cui parlava di amore per Dio, senza però mai nominarlo. Il brano sembrava scritto per la sua ragazza, questo perché nei circuiti musicali commerciali del suo Paese nominare Dio costituiva una sorta di tabù”.

I Rockspel, insomma, decidono di portare sul palco composizioni rockettare ma d’insospettabile vena religiosa e di ambiente gospel, divulgando nomi e storie a noi lontane.

Il loro è uno spettacolo che narra un’evoluzione, un viaggio.

When The Saints go marchin’ in” – suonata dai Rockspel a ritmi forsennati con chitarre lancinanti tali da destrutturare il brano – “era una composizione usata nei funerali jazz di New Orleans a fine ‘800 e riprende molte delle sue immagini dall’Apocalisse di Giovanni”, spiega Grazia. “La presenza di segni cosmici citati nel testo (il sole che smette di brillare, la luna che si muta in sangue, le stelle che cadono, ecc.) anticipa il ritorno del Messia. Il rito della sepoltura è dunque il luogo più adatto per celebrare la fede nella risurrezione e nell’instaurarsi del regno di Cristo, così al dolore per la scomparsa dell’amico, si associa la gioia per il suo avere raggiunto la propria casa nel cielo e il desiderio di condividere la stessa meta”.

Viaggiamo sulle orme di coloro che prima di noi se ne sono andati
Ma saremo riuniti in una spiaggia nuova e soleggiata
Qualcuno dice che questo mondo di problemi è il solo di cui abbiamo bisogno
Ma io sto aspettando, sì io sto aspettando il mattino
In cui il nuovo mondo sarà rivelato.
Oh quando i santi marceranno
Oh quando i santi marceranno
Oh Signore io voglio essere dei loro
Quando i santi marceranno

I contenuti religiosi del brano perdono d’intensità già nella versione storica di Louis Armstrong, che con la sua allegra interpretazione vocale e trombettistica ti distoglie dal senso del testo. I Rockspel fanno anche di più. La loro è un’interpretazione dark rock, con cambi di ritmo, lente atmosfere intervallate a momenti di noise chitarristico che, anzi, forse restituiscono al testo un pathos quasi assente nelle versioni in stile New Orleans. La religiosità, attenuata dall’interpretazione americana in forma di allegra marcetta, qui non si coglie nemmeno più, se non ci fossero le parole di Grazia Mimmo a restituirci i contenuti del brano. “La sezione lenta è quella che riporta una sorta di riflessione esistenziale sul significato della vita terrena per un cristiano. Il ritornello assume invece un ritmo incalzante che nelle nostre intenzioni vuol quasi esprimere il desiderio di costringere i tempi ad abbreviarsi, per poter “marciare coi santi”, al di fuori ormai della dimensione terrena stessa”.

La Contemporary Christian Music in fondo è proprio questo: una forma di comunicazione attraverso linguaggi sonori liberi e attuali. Non c’è alcun disagio negli artisti americani di questo movimento a mutuare stili e forme espressive dei giorni nostri, anche le più commerciali e scontate, per esprimere concetti religiosi. I suoni, infatti, sono tipici delle produzioni odierne: circostanza, questa, che un po’ fa storcere il naso a chi per cultura e sensibilità religiosa è abituato a non mescolare tanto facilmente argomenti religiosi a sonorità da spot televisivo.

Per capire occorrerebbe un rapido ascolto.

Rebecca Saint James, ad esempio, è la tipica ragazza della provincia americana, jeans, camicia bianca e gilet, che canta temi religiosi: lo fa con uno stile assolutamente pop-rock e con i suoni che siamo abituati a sentire nel pop commerciale di oggi. Può assomigliare alla nostra Elisa dei suoi primi dischi, non tanto vocalmente, ma talvolta, forse, per il tipo di sonorità (o di produzione).

God Help Me”http://www.youtube.com/watch?v=huyHrNxfu3Y

I Will Praise You” – https://www.youtube.com/watch?v=EYBvrAAN5o0

Breathe” https://www.youtube.com/watch?v=tTI8HpyDbeE

Alive”http://www.youtube.com/watch?v=vdw5cvj5aws

Gli Switchfoot sono invece una band più marcatamente rockettara, con i suoni roboanti del post grunge e le vocalità dei musicisti di questi anni. A un primo superficiale ascolto la voce del leader talvolta rievoca il cantato di Chris Martin dei Coldplay, talaltra fa pensare agli Oasis e ai Radiohead, e le sonorità sono una mescolanza di pop-rock del trascorso decennio

Always” – http://www.youtube.com/watch?v=gUV6z_uUpQM

Only Hope” http://www.youtube.com/watch?v=xWvtqFddh8k

Afterlife”- http://www.youtube.com/watch?v=j6z-H3_hgEU

You” – http://www.youtube.com/watch?v=qYAAAr5-qkw

I Dare You To Move” http://www.youtube.com/watch?v=nsSR4VrmsRY

Dark Horses” – http://www.youtube.com/watch?v=5_5oE0ijhKg

Meant To Live” – http://www.youtube.com/watch?v=632skZgCTJU

Questa band, obiettivamente, incuriosisce per la varietà dei temi religiosi che affronta. Nel brano “Something More” riesce a mettere in musica nientemeno che le confessioni di Sant’Agostino. Non so perché qui in Italia siano viste come un mattone per eruditi”, dice Grazia “mentre invece i giovani cristiani anglosassoni ne fanno un punto di riferimento”.

Something More” – http://www.youtube.com/watch?v=EKgxMl1-hXs

Lascia stupiti il modo disinvolto e diretto con cui questi artisti parlano di certe tematiche, con un linguaggio per noi persino troppo semplice, tanto da apparire superficiale e scontato, per quanto sincero. “Ma questo è un problema comunicativo tutto nostro, tutto italiano”, continua Grazia. “In Italia Celentano riuscì a cantare “Pregherò” perché aveva una casa discografica sua. Da noi non si usa parlare così. Ti viene in mente qualche canzone esplicitamente religiosa nella musica italiana?”.

Jeremy Camp invece si attesta tendenzialmente sullo stile della ballata rock, più intimistico anche come sonorità. Leggendo sul web scopriamo che si tratta di uno dei più premiati musicisti della Contemporary Christian Music, con successi commerciali di enorme portata nel mercato interno americano, numerosi hits, nominations ai Grammy e riconoscimenti.

Take my Life” http://www.youtube.com/watch?v=pReDCK5OjME

My desire” http://www.youtube.com/watch?v=tMHH-Lvv5K8

The Way” http://www.youtube.com/watch?v=f5CF9OJRKkA

Michael Sweet

Michael Sweet, invece, è più tradizionale nel suo rock blues tipicamente americano. Il suo brano “Ticket To Freedom”, che i Rockspel spesso eseguono come cover, ha il profumo rievocativo di stili “classici” alla Creedence Clearwater Revival (nella loro celebre “Proud Mary”), Steve Miller Band, Allman Brothers Band. I Rockspel illustrano il contenuto dei suoi testi e spiegano che il biglietto per la libertà è la Fede, quella che ti consente di intraprendere il viaggio.

Fai le valigie andiamo via
Forse domani, forse oggi
Sto venendo per te
Conosco un posto che è unico nel suo genere
E’ lontano, ma facile da trovare
Ho pagato in anticipo, c’è solo una cosa che tu devi fare
Vai alla stazione e dì loro
Che stai ponendo la tua fede in me
Dì loro che hai aperto il tuo cuore
Digli che credi, allora avrai ciò che ti serve
E se la vuoi, devi prenderla
Perché senza di essa non ce la farai
Meglio sbrigarsi, stiamo partendo
Prendi il tuo biglietto di sola andata per la libertà
Ho lavorato tutti i giorni
Costruire una casa dove voglio stare
Sangue, sudore e lacrime sono andati in ogni fotogramma
Su un’alta collina così lontana
L’atto è in tuo nome e il mutuo è pagato
Pagato in anticipo, c’è solo una cosa che devi invocare
Niente accade facilmente
Niente nella vita è gratuito
Ma ti darò qualsiasi cosa
Se mi amerai incondizionatamente

Le cover sono utili al nostro spettacolo”, dice Valerio, “servono a introdurre dei brani composti da noi, ma non sono uno specchietto per le allodole: ci aiutano anche a narrare un’evoluzione e un viaggio di un genere musicale che ruota intorno ai testi e che attraversa stili fra loro diversissimi”.

Il vero problema è trovare la collocazione giusta per il nostro tipo di spettacolo”, conclude Grazia. “Bisogna tenere conto degli spazi disponibili, delle aspettative dei locali che ci ospitano, e ovviamente del pubblico. A volte non c’è la possibilità di parlare quanto davvero occorrerebbe, e quindi si fa fatica a spiegare adeguatamente il nostro progetto”.

Non si può, insomma, degenerare nel concerto “didattico”, in una sorta di saggistica.

Comunicare, però, talvolta aiuta, specie ora che nessuno lo fa. E chissà che non sia proprio questo narrare a fare la differenza, e a suscitare quella curiosità che oggi, un pubblico pigro e sazio, non avverte più.

Stiamo preparando la nostra prima uscita discografica per Natale”, dicono i Rockspel (Emilio Pardo, napoletano, chitarra; Alberto Berna, torinese, chitarra; Paolo Tavernari, modenese, basso; Grazia e Valerio, originari di Foggia, voce, batteria e percussioni). “Rispecchierà un po’ i nostri concerti, con una sintesi del lavoro svolto sinora, ma limitatamente ai Gospel tradizionali riarrangiati nel nostro stile. Per il live invece stiamo sperimentando momenti acustici e nuove idee. L’unico problema è il tempo a nostra disposizione, sempre tiranno”.

Approfondimenti:

I Rockspel: http://www.rockspel.com/

Kingdom Faith ad Horsham: www.kingdomfaith.com

Altra band di riferimento sono i Salvador, musicisti di stampo prevalentemente funky latino. La loro “Shine” è un brano che si lascia maggiormente andare alle sonorità pop.

Salvador, “Shine”http://www.youtube.com/watch?v=T0LxeHkELAU

I Petra hanno fatto la storia della contemporary christian music e sono considerati un emblema più che trentennale del rock cristiano. “Enter in” è vangelo “zippato” in un brano rock.

Petra, “Enter In”http://www.youtube.com/watch?v=wZs-tHDawb4

Altro tributo imprescindibile va ai DC Talk, trio che parte nel 1987, conquistando grammy awards come rock band cristiana, ed esportando le proprie proposte oltreoceano, Italia compresa.

DC Talk,“Consume Me”http://www.youtube.com/watch?v=ZnmgH00mD5o

Interessanti anche i loro esperimenti di fusione con l’hip hop.

DC Talk, “Jesus Freak” http://www.youtube.com/watch?v=lYH9FUfCKPI

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’80, NEW SOUND, NEW WAVE

Vita musica ed eventi nella provincia italiana degli anni ’80

 

’80 NEW SOUND, NEW WAVE (Basile/Nitti, Geophonìe, 2007, ISBN 978-88-903063-0-3)  analizza stili di vita, società e costume degli anni ’80, ma è anche un’inedita storia di piccoli gruppi sorti in giro per l’Italia alla ricerca di una propria nuova identità musicale, sulla scia delle grandi band del decennio passate forse casualmente su palchi di periferia e prime ribalte di provincia.

Con un percorso trasversale in cui si intrecciano i destini di grandi e piccoli artisti, il volume passa in rassegna carriere, discografie, setlists di concerti e le mescola con ricordi personali di gente comune, appassionati, musicisti locali che cercarono di incrociare la propria strada con quella delle nuove star del decennio ’80.

Il risultato è un collage di ricordi, gadgets, memorabilia, considerazioni critiche e notizie inedite sui gruppi new wave: Siouxsie fece una passeggiata nella siderurgica Taranto del 1985, si recò al museo archeologico e dopo pochi mesi diede alle stampe il disco “Cities in The Dust”, città nella polvere, con un vaso greco in copertina. I New Order, dopo il loro concerto tenuto al Tursport Club di Taranto (Sud Italia) il 19 giugno 1982, si recarono al mare e dichiararono poi alla stampa italiana che quella spiaggia di Taranto costituiva il più bel ricordo della loro prima tournee italiana. Poco dopo composero il noto brano intitolato “The Beach”.

Il grande Adrian Borland dei Sound nella notte del 18 maggio 1985, a Taranto, venne portato in giro dai fans tra le bancarelle di una festa patronale, e poi di notte, nei vicoli di una città vecchia irreale e deserta, tra le barche dei pescatori a mangiare un panino, mentre i Bauhaus nel 1982 (il loro concerto costò soltanto 1. 500. 000 di vecchie lire!) se ne andarono in giro scorazzando con dei ragazzi di Taranto in una Renault 5 sotto un diluvio universale, facendosi poi coinvolgere anche in una partita di calcio e di tennis con i pochi fortunati fans presenti nel circolo sportivo che li ospitò (Taranto, 1-2 maggio 1982).

I ricordi di provincia testimoniano la semplicità degli artisti new wave agli esordi, all’alba della loro affermazione internazionale, così come le splendide foto illustrano l’incredulità e la disabitudine di quelle nuove giovanissime pop star ad un successo che si andava consolidando sempre più rapidamente. Lo sguardo e lo stupore di Jim Kerr mentre tiene in mano il quotidiano locale di Taranto che ne celebra l’arrivo in città è immortalato in un’immagine che da sola vale il libro. La partita di calcio e di tennis di Peter Murphy e dei Bauhaus con i ragazzi del luogo, le prime immagini dei New Order dopo la perdita di Ian Curtis in occasione del loro esordio in Italia, sono un cimelio fotografico. Il volume è stato realizzato interamente con materiali reperiti nei circuiti del collezionismo privato e amatoriale.

Pregevole, infine, è una discografia essenziale del decennio che spazia dai grandi nomi sino a quelli di nicchia, dal collezionismo più efferato alla cultura underground, con catalogazione per sottocategorie e generi (“i frivoli”, “gli ipercolti”, “i dark wave e gotici” , “i post punk”, “gli elettronici”, “i precursori” etc. ).

© Geophonìe

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