Le prossime presentazioni

THE SOUNDProseguono gli incontri di autori Basile e Nitti per presentare il volume “Adrian Borland & The Sound. Meaning Of A Distant Victory”. Gli autori conversano con  lettori, appassionati,  addetti ai lavori  ed esponenti del giornalismo musicale, illustrando l’opera testuale di Adrian Borland, le sue liriche ed il valore dei testi nella cultura rock e popolare, precedente e successiva agli anni ’80. Tra storie di provincia, aneddoti, ricordi personali o collettivi ed eventi memorabili.

Bellaria (RN), Venerdì 3 Novembre 2017, ore 20,45 Biblioteca Comunale Panzini, Viale Paolo Guidi 108. “Da Bellaria a Taranto: esperienze musicali da ricordare nella provincia italiana degli Anni ’80”. Interviene Giuseppe Basile, autore dei libri : “80, NEW SOUND, NEW WAVE. VITA MUSICA ED EVENTI NELLA PROVINCIA ITALIANA DEGLI ANNI 80” e “ADRIAN BORLAND & THE SOUND. MEANING OF A DISTANT VICTORY” Ingresso Gratuito

Pesaro, Sabato 11 Novembre 2017, ore 17,30 c/o BLACK MARMALADE RECORDS, Via Cattaneo 30, Pesaro Leonardo D’Elia converserà con l’autore Giuseppe Basile che presenterà il volume documentaristico intitolato “ADRIAN BORLAND & THE SOUND. MEANING OF A DISTANT VICTORY” (Geophonìe, 2016) dedicato all’intensa vita del musicista inglese Adrian Borland, ed il volume intitolato “80, NEW SOUND, NEW WAVE. VITA MUSICA ED EVENTI NELLA PROVINCIA ITALIANIA DEGLI ANNI 80”, fotocronaca e storia del primo passaggio della cultura punk-new wave sui palcoscenici sperimentali di provincia, tra Puglia, Emilia-Romagna e resto d’Italia. Ingresso Gratuito

Ferrara, 16 Giovedì Novembre 2017,  ore 18 Grotte del Cinema Boldrini, Via Previati 18, Ferrara. Prima del concerto dei Diaframma e dei Go Flamingo! Che si terrà presso la Sala Estense, alle Grotte del Cinema Boldini si terrà la presentazione ufficiale al pubblico ferrarese del libro “Adrian Borland & The Sound – Meaning of a Distant Victory”. Presenti gli autori Giuseppe Basile e Marcello Nitti con gli interventi di Federico Fiumani e dei Go Flamingo! per una piacevole chiacchierata su una pubblicazione importante dedicata al leader di una band seminale come THE SOUND. POSTI LIMITATISSIMI! Qui l’evento con il programma completo della rassegna alle Grotte organizzato da ARCI Ferrarahttps://www.facebook.com/events/1923342441249144/

Isabelle Sirelius

aIMG_8504Astrattismo pittorico, tra Scandinavia e Puglia.

Il taglio sbarazzino, le gote rosse ai primi raggi di luce, il sorriso impresso sul volto, rendono Isabelle,  giovane artista svedese, una persona estroversa e amante della vita. I suoi trent’anni vissuti  in giro per il mondo le hanno indicato che le strade da percorrere, oltre quelle della sua città bagnata dal mar Baltico, Stoccolma, sono quelle dell’arte. Aveva solo quattro anni  quando fece il suo primo dipinto, e cinque quando la sua indole poliedrica di futura artista le fece pronunciare le fatidica frase:  “da grande voglio  fare la pittrice”.

 

Se è vero che ogni artista si lascia ispirare da ciò che lo circonda, Isabelle usa il pennello per catturare i silenzi della natura e dotarli della parola, attraverso forme e colori. La sua pittura è diretta, rigorosa, ma allo stesso tempo estatica. E’ un mondo che si ritrae nella sua interezza, senza alcun bisogno di anteporre la tecnica alla spontaneità di ciò che viene catturato e impresso  sulla tela. “Amo la vita”,  parole cariche di significato, quelle pronunciate dalla giovane artista. Un amore per il viaggio e la scoperta, che sin da adolescente l’ha portata a scoprire il mondo con occhi capaci di  custodirne  i segreti.  

A diciassette anni ha iniziato il suo percorso in Europa, per circa tre anni i numerosi viaggi in Francia le hanno permesso di conoscersi e  sperimentarsi  nella capitale mondiale della cultura, Parigi. Nel 2012 si è recata a New York dove ha frequentato l’accademia nazionale di arte della grande mela. Un’esperienza, questa, che le ha permesso di consolidare la sua preparazione sia sul piano teorico, che su quello esperienziale. Tanti i temi trattati dagli schizzi del suo pennello, che con vigore  regala a chiunque si fermi a guardare le sue opere. Un ruolo di particolare interesse assumono i respiri della natura, in un campo di margherite giocose , o sulla scia di tramonti infuocati di luce intensa , sino ad arrivare all’amore, tema pregnante del suo animo  di artista.

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Isabelle Sirelius, Deserto (2017)

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Isabelle Sirelius, Terra (2017)

I suoi quadri sono stati esposti per la prima volta nel 2009 a Stoccolma, presso il Kulturcentrum e per ben due anni  di seguito nella Galleria Industrigatan, civico 12, nella capitale svedese. Da qualche anno Isabelle, al diario dei suoi viaggi, ha aggiunto la conoscenza di luoghi e  persone di una regione  che ha conquistato il suo cuore e sta plasmando la sua arte, la Puglia. Appassionata di moda e cucina si sente ormai anche lei un po’ italiana…  Tra i suoi progetti lavorativi c’è infatti quello di promuovere delle mostre  in Puglia, nell’incantevole Valle d’Itria, nella cittadina di Martina Franca, dove da qualche anno viene periodicamente a trascorrere le vacanze.

Le risate fragorose, la semplicità dei suoi gesti e il calore del suo sguardo fanno di Isabelle,  ragazza svedese dagli occhi blu, un’artista vicina alla gente, anche a quella che per nascita è molto lontana dalle tradizioni della sua terra. L’arte è la corda che congiunge le diversità, e seppur lontana chilometri di terra, prende forma sotto uno stesso cielo creativo ispiratore di bellezza.

08/07/2017

Sara Montorsi © Geophonìe

 

ADRIAN BORLAND’S AFTERLIFE

Il volume “Adrian Borland & The Sound. Meaning Of A Distant Victory” prosegue il suo Tour di presentazioni, conversazioni, incontri (prossima data: Salerno, Domenica 11 giugno 2017, Circolo Cibarti, via Mercanti 68, ore 19,30) Ed il film olandese “Walking In the Opposite adrian-borland-and-the-soundDirection” procede nel circuito europeo dei festival cinematografici. Con tanti eventi. Chi aveva scommesso su questa splendida storia artistica aveva visto bene. I nostri autori Basile e Nitti erano certi dell’impennata di successo e consensi che la musica dei Sound e la storia di Adrian Borland avrebbero potuto riscuotere, se solo qualcuno l’avesse divulgata: un pensiero, questo,  comune e condiviso con gli amici olandesi Marc Waltman e Jean-Paul Van Mierlo, rispettivamente regista e produttore del film, che dopo la première all’IDFA (Festival Internazionale dei Documentari di Amsterdam) del 19 novembre 2016, hanno condotto questa importante produzione documentaristica in giro per l’Europa. Storie parallele. La sera del 19 novembre, al Teatro Melkweg di Amsterdam davanti a una cornice di pubblico davvero splendida, il film viveva il suo sospirato, tanto atteso, esordio. La sera prima, il 18 novembre, in Italia, l’azienda grafica APVD  di Carpi (Modena)  all’orario di chiusura, consegnava a Geophonìe le copie del libro di Basile e Nitti, fresche (anzi, calde) di stampa: giusto in tempo per partire il mattino seguente, con i libri in valigia, alla volta di Amsterdam. Dopo la proiezione del film,  i saluti, i ringraziamenti e le premiazioni sul palco, la folla si dirigeva in un club nelle vicinanze, e lì,  Giuseppe Basile e Concetta Ingrosso potevano finalmente consegnare nelle mani di Mike Dudley, Jean Paul Van Mierlo, Rients Bootsma (il gestore del sito ufficiale dei Sound www.brittleheaven.com), Patrick Rowles e James Ingham (musicisti amici di Adrian e suoi collaboratori nel periodo solista), Julie Burrowes (amica di Adrian nell’adolescenza) il volume documentaristico spiegandone a tutti loro le ragioni, le passioni, le storie. Tanti incontri, conoscenze, domande, curiosità. Nel club c’era un signore che Basile non aveva mai avuto occasione  in precedenza di conoscere: Steve Budd. Chiese una copia del libro senza presentarsi, si premurò di fornirsi di alcuni volantini promozionali, in lingua inglese, che presentavano l’opera. Era stato il produttore dei Sound degli esordi. In seguito, ricevuto il libro per posta, si presentò: “dovresti sapere che sono stato il manager della band nel primo album”  – (sono sue, infatti le note di copertina nella ristampa di Jeopardy della Renascent) – “e realizzai con la mia etichetta Tortch Records il primo EP del gruppo, che attirò l’attenzione di John Peel, Paul Morley e poi della Korova Records”. “Adrian ed io avemmo una band nel 1975 chiamata BB band. Io poi suonai la chitarra con i Second Layer e pubblicai il loro primo e secondo EP con la mia etichetta. Quando Adrian suonò con Iggy Pop e anche Patti Smith, io ero lì. Non credo che di questo si parli nel vostro libro: magari quando vi sarà una versione in lingua inglese, forse potremo parlarne”.     Il locale era pieno di musicisti, addetti ai lavori, gente del settore.  Era lì  anche Carlo Van Putten, importante coautore e interprete di Adrian, e diversi altri musicisti, amici giunti ad Amsterdam dall’Inghilterra e olandesi che a vario titolo avevano incrociato i propri destini con la storia dei Sound e di Adrian, come il giornalista Alfred Bos, uno dei primi autori di cronache e recensioni per la band, all’epoca di Jeopardy e From The Lion’s Mouth.

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G.Basile e Alfred Bos

Da sinistra: Jean-Paul Van Mierlo, Mike Dudley, Carlo Van Putten, Patrick Rowles, Marc Waltman

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Carlo Van Putten, Performance (19.11.2016)

Dopo il battesimo del film e del libro, i rispettivi autori hanno preso a percorrere ciascuno la propria strada, senza però perdersi di vista, e incrociandosi ancora. Il 29 gennaio e il 4 febbraio il Festival internazionale del Cinema musicale di Torino “Seeyousound”  ha presentato, primo in Italia (e per ora unico), il film con sottotitoli in italiano, ospitando poi dopo le proiezioni, Marc Waltman e Giuseppe Basile per un dibattito in sala. Il 23.12.2016 a Taranto (Nautilus), il  4.3.2017 a Bologna (Libreria Modo Infoshop), il 6.4.2017 nuovamente a Taranto (Libreria Mondadori), “Adrian Borland & The Sound” ha avviato il suo Tour di incontri col pubblico.

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4.3.2017, Bologna, Libreria Modo Infoshop

4.3.2017, Bologna, Libreria Modo Infoshop

4.3.2017, Bologna, Libreria Modo Infoshop

Il 7.4.2016, poi, Basile e Nitti, nella suggestiva cornice barocca di Francavilla Fontana (Brindisi) condividevano la propria gioia e  passione con appassionati nuovi amici e conoscenti, per una serata evento tra parole e musica live. Frattanto, però, tra le note di Domenico Truppi, Anna D’Errico,  Davide Zanzarella, Mimmo Morrone, i racconti e i commenti, giungevano dalla lontana Wimbledon le notizie dell’aggravarsi della condizioni di salute di Robert Borland, il padre di Adrian, colui che aveva fortemente voluto film e libro, e che già a novembre, ad Amsterdam, proprio nella sera della “Distant Victory”, aveva fatto registrare la sua dolorosa assenza. “Sta per andar via, ma non sta soffrendo”, scriveva un amico da Wimbledon in un SMS, nel pomeriggio del 7 aprile. La notizia del decesso perveniva poi il giorno successivo. A Francavilla Fontana di Brindisi, in una Puglia ad un mondo di distanza da Wimbledon, da quelle culture, da quella storia, dopo oltre trent’anni, si era appena smesso di eseguire  “Party Of My Mind”, “Total Recall”, “I Can’t Escape Myself”.

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Francavilla Fontana (BR), Circolo Cittadino

Domenico Truppi e Davide Zanzarella

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Anna D’Errico, Marcello Nitti, Giuseppe Basile

Il 22.4.2017 la presentazione del volume toccava nuovamente la Puglia (Lecce), con Marcello Nitti e il Prof. Daniele De Luca, nel negozio di dischi  “Disconutshot”. Sono ora in programma sempre nuovi incontri: l’11 giugno Basile e Nitti saranno ospiti dell’Associazione No Project, Presso il Circolo Cibarti (Via Dei Mercanti 68), con Alfonso Amendola e Francesco Castaldi.  Seguiranno presentazioni già in corso di preparazione a Modena e Cremona, e nuovamente in Puglia (Lecce, Manduria, Martina Franca). Il film “Walking In the Opposite Direction”, ha percorso sinora un lungo giro, ma  solo nei Festival cinematografici

Marc Waltman e Jean-Paul Van Mierlo

Marc Waltman e Jean-Paul Van Mierlo

  • April 30, 2017,  20.00 h. – Doc&Roll Festival, ICA, London (United Kingdom). 
  • April 29, 2017,  20.30 h. – Doc&Roll Festival, Karma 94, Hull (United Kingdom) + Q&A.
  • April 28, 2017,  20.50 h. – Doc&Roll Festival, PH Fact Liverpool, (United Kingdom) + Q&A.
  • April 27, 2017,  20.50 h. – Doc&Roll Festival, Komedia, Brighton, (United Kingdom) + Q&A.
  • April 26, 2017,  21.00 h. – Doc&Roll Festival, ICA, London (United Kingdom) + Q&A.
  • April 12, 2017, 17.00 h. – Mini Festival Rotown, Kino, Rotterdam (Holland).
  • February 11, 2017, 16.30 h. – Grauzone Festival, The Hague (Holland), + Q&A.
  • February 4, 2017, 15.00 h. – Seeyousound FilmFestival, Cinema Massimo Sala 2, Torino (Italy) + Q&A. 
  • January 29, 2017, 20.00 h. – Seeyousound FilmFestival, Cinema Massimo Sala 3 , Torino (Italy)+ Q&A.
  • December 27, 2016, 20.00 h. – FFO, de Grote Post, Oostende (Belgium) + Q&A.
  • November 26, 2016, 16.15-18.15 h. – IDFA, Ketelhuis Zaal 1 (Amsterdam, Holland) + Q&A. 
  • November 24, 2016, 11.45-13.45 h. –  IDFA, Munt 12 (Amsterdam, Holland) + Q&A. 
  • November 23, 2016, 12.45-14.45 h. – IDFA, Eye Cinema 1 (Amsterdam, Holland) + Q&A 
  • November 19, 2016, 15.00-17.30 h. – IDFA, premiere Melkweg-Rabozaal (Amsterdam, Holland) + Q&A.

 Il Tour prosegue tra Olanda, Inghilterra,e in settembre giunge ad Atene. 

  • June 23, 2017, 18.30 h. – Mini Festival Victorie, Filmhuis, Alkmaar, (Holland).
  • June 8, 2017, 20.30 h. – Doc&Roll Festival, Crouch End Picturehouse, London (United Kingdom) + Q&A via Skype.
  • June 3, 2017, 20.00 h. – A Short Festival About Sound And Music,  Filmhuis Bolsward, Bolsward (Holland) + Q&A. 
  • September 20 – 1st of October 1, 2017, 23rd Athens International Film Festival, Athen, (Greece).

 L’Italia, e molti altri paesi, attendono che la produzione del film ottenga finalmente le autorizzazioni delle case discografiche (Warner e P.I.A.S.) per approdare nei circuiti commerciali delle sale cinematografiche e della grande distribuzione. Una versione del film in DVD è quello in cui tutti sperano, e a cui gli amici olandesi lavorano. © Geophonìe

 

ISABELLE SIRELIUS, VERNISSAGE IN PUGLIA (08.07.2017)

aIsabelle 001Come non farsi rapire dai colori della Puglia per chi vive la passione della pittura? Isabelle Sirelius, già nella sua prima visita in Puglia ne rimase affascinata e decise di lasciarsi coinvolgere in un progetto che l’avrebbe vista all’opera con le sue tele e pennelli: dalla lontana Scandinavia alla Puglia, a Martina Franca, per sviluppare il proprio percorso artistico con nuove esperienze ed emozioni. La pittrice scandinava ha nel suo background riflessi di colori vibranti e solari e un’immaginazione che scaturisce da un suo personale mondo, fantastico e indipendente.

L’astrattismo di Isabelle Sirelius riproduce una realtà elaborata con la sua anima in perpetuo cammino e ci traghetta in luoghi di sogno e di delicata bellezza, aiutandoci a cercarci e a ritrovarci. La giovane pittrice svedese ha esposto le sue opere a Martina nel centro storico nel mese di giugno, coinvolgendo e appassionando i presenti. “Al 2018” – ha poi dichiarato, congedandosi – “la Puglia mi affascina, il prossimo anno sarò nuovamente qui con voi”.

08/07/2017  © Geophonìe

Isabelle Sirelius, Amore (2017)

Isabelle Sirelius, Tramonto (2017)

Note su Modern Times

Peppe per GeophonieDissertazioni tra “dylanani”, dopo l’uscita dell’acclamato album di Bob Dylan del 2006, dagli archivi del noto sito www.maggiesfarm.it.  Il commento-recensione di Giuseppe Basile: “Disco capolavoro? Quando i fans fanno i critici …”.

 

 

Avrei voluto scrivere questo commento prima di leggere la miriade di  recensioni e articoli che in questi giorni hanno invaso la stampa internazionale e il nostro sito. Ho cercato, infatti, di custodire dentro di me le prime sensazioni che l’ascolto di Modern Times mi ha procurato, di non subire l’influenza dei commenti, delle tante osservazioni che poi mi sono ritrovato a leggere (ma come potevo resistere?).

Questo mio tentativo di “blindarmi”, di non lasciarmi condizionare, volevo sostenerlo per cercare di cogliere l’effetto che un disco come questo avrebbe potuto sortire su un pubblico medio, su una vasta platea, non necessariamente dylaniana. Bob Dylan Modern Times CopertinaMentre lo esaminavo, già al primissimo ascolto, infatti, sentivo il bisogno di spogliarmi della mia conoscenza dylaniana, della mia “militanza”, perché avvertivo ormai che la mia passione per Dylan, il mio “studio” dei suoi dischi, finiscono talvolta col risultare ingombranti, tanto da impedirmi di esprimere un giudizio distaccato e sereno. Fateci caso: il nostro approccio a ogni nuovo lavoro di Dylan (parlo di tutti noi frequentatori del sito maggiesfarm) risente moltissimo di ciò che ciascuno si aspetta in relazione ai propri gusti personali, ai dischi più o meno amati, alle varie svolte artistiche di Bob che condividiamo o contestiamo. Il nostro punto di vista, insomma, scusatemi, è spesso “inquinatissimo” da quello stesso bagaglio di conoscenza e passione che se da una parte ci permette di capire Dylan meglio degli altri, al tempo stesso ce lo fa sentire “vecchio”, “ripetitivo” (perché fa delle cose che al nostro orecchio risuonano come note) o “poco originale”.

Dice ad esempio Paolo Vites, nella sua recensione su JAM di settembre, n.129/2006: “Modern Times è Love And Theft seconda parte: è impressionante come, con cinque anni di distanza e con due band diverse, Dylan sia riuscito a ottenere il medesimo sound fotocopia di quel disco”.  E’ un commento che mi colpisce, non tanto per la sua esattezza o erroneità (su cui si può discutere), quanto per la implicita delusione che trapela da quelle parole, dette da un conoscitore profondo che avrà anche gradito Love And Theft a suo tempo, ma che ora si aspettava qualcosa  di più o di diverso. Ebbene, proprio da questo tipo di reazione cercavo di prendere le distanze: non volevo farmi sopraffare dalle mie aspettative, dai confronti che mi vengono naturali all’ascolto di ogni nota, di ogni parola, con tutte le composizioni di Bob che mi risuonano in testa (…ahimè, ogni giorno! Stiamo peggiorando! E’ un periodo impegnativo per noi dylaniati, fra dischi, libri, DVD, sei concerti italiani …. insomma troppe sollecitazioni per i nostri già provati neuroni!). E chi non ha mai sentito Love And Theft, allora, che giudizio avrebbe di questo disco? Preso singolarmente, senza confronti,  che valore artistico esprime, quali sensazioni suscita? Ho inevitabilmente letto tutti i “nostri” commenti, anche quelli più personali (c’è chi mette in condivisione nel sito i propri sogni, ricordi e vicende specifiche), ma questa non è critica. La critica è l’approccio a un lavoro artistico che prescinde dai nostri gusti personali, dalla nostra mutevole disposizione verso l’artista o lo specifico genere musicale. E in questo tipo di critica ho provato a cimentarmi.

Il primo impatto con Modern Tines mi ha provocato sensazioni di “leggerezza”. Mi è parso subito un disco “leggero”, straordinariamente godibile, accessibile come nessun altro disco della carriera di Bob. Come ha infatti osservato la stampa, è un disco “old time”, dall’ “aria western”, “blues e retrò” (“è il Dylan più blues e retrò che sia mai capitato di incontrare”, dice Kataweb-L’Espresso-Repubblica), ha delle sonorità “vintage”, le sue ballate sono effettivamente “piacevoli e briose quanto il possibile repertorio di tanti mezzi cowboy che suonano music roots di vario tipo nei bar d’America”. Mi sono dunque lasciato cullare da queste sonorità così curate, così discrete, mai ostiche, proprio come quelle che ci si aspetta in un disco di roots folk destinato a un publico internazionale (perché un disco folk destinato agli amatori duri e puri del mercato interno americano, invece, è ostico eccome!), ma dopo i primi ascolti, dopo il calo dell’effetto sorpresa, mi sono fatto l’idea che il disco è suonato e cantato talmente bene che non ti accorgi (non subito) che la composizione in fondo è abbastanza ordinaria e prevedibile. Ho ripensato improvvisamente a Under A Red Sky, primo disco in cui Dylan sperimentava questa sua voglia di cantare da crooner in modo più disimpegnato, anche nei testi, lasciandosi trasportare dalla sua voglia estemporanea di suonare in libertà con tanti musicisti, vagando tra generi diversi. Fu un album criticato perché considerato carente di “spessore” (a me comunque piaceva). Modern Times è sicuramente diverso, molto più meditato (nel suo percorso di crooner Bob ha ormai rifinito il concetto che stava già coltivando allora: in Under A Red Sky, però, lo faceva in modo dispersivo, complice forse una produzione caotica, con troppi artisti da gestire e poca concentrazione sul progetto artistico complessivo che finì col risultare disomogeneo). Ho pensato, insomma, a un approccio simile da parte di Bob: che altro senso può avere,  infatti, riproporre uno standard trito e ritrito come “Rollin’ And Tumblin’”  se non quello di voler suonare e cantare da crooner in libertà,  senza altre pretese? (Il brano in questione lo interpretò anche Eric Clapton nel suo celebre Unplugged del 1992). La stessa impressione l’ho ricavata da “Someday Baby” e “The Levee’s Gonna Break”, brani piacevolissimi, sia chiaro (nel disco non c’è un solo momento che non sia gradevole e conciliante), ma privi di quella nota di originalità compositiva che normalmente ci si attende da Bob. Sono dei brani standard, divertenti, briosi, felici, con sonorità levigate, facili da digerire, ma che scorrono come un sottofondo discreto, non ti inchiodano alla sedia come una composizione tipica di Bob.

L’apertura del disco, con “Thunder In The Mountain”, accattivante, coinvolgente come sonorità, rimane anch’essa ancorata a questo concetto di folk western che scorre come una colonna sonora leggera. E “Spirit On The Water”, il secondo brano, prosegue su questa linea: gradevolissimo, dolce, “indulgente”, dicono alcuni (si parla di suoni carezzevoli che s´intrecciano in un caloroso abbraccio swingato che avvolge questo nuovo disco dall´inizio alla fine”), “struggente”. Tutto vero. I fans più esistenzialisti trovano comunque il Dylan che amano di più, cioè quello “di peso”, quello cantautorale, profondo e intimo nella sostanza, non solo suggestivo nelle sonorità. Ha ragione Michele Murino quando dice che “sono tre i capolavori del disco” : siamo tutti d’accordo, Workingsman’s Blues 2 è una ballata che ci porteremo dentro per un bel po’ di tempo, Nettie Moore è un brano di composizione assolutamente originale e complessa (più della stessa Workingsman, che invece scorre su un motivo più facile, accessibile, il tipico brano che arriva facilmente ai cuori di tutti, anche della gente comune meno incline alle cripticità dylaniane), e  Ain’t Talkin’ si staglia come il punto di vertice compositivo del disco e compensa col suo spessore la leggerezza dell’intero lavoro.

E’ un disco che venderà come nessun altro nella carriera di Bob, e le premesse ci sono tutte (stiamo assistendo alla conquista del primo posto in tutto il mondo in pochi giorni) … ma siamo oggettivi: anche certe critiche avventate hanno un fondo di verità. “E’ una rifrittura che mangi finchè clada, ma presto si fa callosa”, dice sempre Kataweb: senz’altro esagera. Ma dobbiamo rifuggire dalle esagerazioni anche noi. Il capolavoro è qualcosa di diverso. E se i capolavori di Bob non sono sempre finiti nelle top ten delle charts internazionali un po’ sarà anche questione di marketing, di fama costruita in questi anni col Never Ending Tour, DVD, biografia e pubblicazioni (Michele, perché dobbiamo negarlo?). Nella vita di un artista c’è anche questo, c’è il momento della raccolta dei frutti sull’onda di un apprezzamento generale che si costruisce anche su fattori esterni al disco. Il Tour di Bob è stata un’onda lunga che ha riportato il pubblico dalla sua parte, è notoriamente lo spettacolo più apprezzato al mondo, nonostante le scalette prevedibili, i musicisti non sempre brillanti sul palco, nonostante la voce e tutte le altre variabili di cui quotidianamente discutiamo. E’ chiaro che dopo una biografia di quella portata, dopo tanti show in piazze gremite in tutto il mondo, il pubblico avrebbe comprato il disco nella prima settimana proiettandolo su numeri da record. L’immagine di Bob è alle stelle da diversi anni, anche se in modo differente rispetto agli anni della celebrità massima. Quando sei a questi livelli di popolarità e di stima diffusa, è chiaro che il disco va forte (sarebbe andato fortissimo anche senza Nettie Moore, che è un brano fantastico, un vero brano folk ai massimi livelli).

Dobbiamo essere obiettivi. Lo spessore di questo disco non consente di avvicinarlo ai capolavori (“Oh Mercy” è un capolavoro, ha raggiunto dei vertici della composizione, è un disco pazzesco, perfino troppo grande; “Time Out Of Mind” è un capolavoro, un disco completo fatto di suoni fantastici ma anche di profondità compositive, “Highlands” è superiore alla Ain’t Talkin’ di oggi che pure è giusto celebrare; “Standin’ in The Doorway” è un macigno rispetto alla pur “struggente” Workingsman’ di oggi, “Love Sick” è una bomba di folk-rock , “Dirt Road Blues” è devastante, “Not Dark Yet”, “Cold Irons Bound”, ma la stessa “To Make You Feel My Love”, sono brani di una potenza che Modern Times non sfiora neppure). Diciamo allora che Modern Times è un lavoro splendido, è un lavoro straordinariamente godibile, che finalmente arriverà sino a quel pubblico easy listening che non è mai riuscito a digerire un artista tante volte ostico, perché universale, sì, ma non al primo ascolto (come McCartney che con una “Yesterday” arrivava subito al cuore di un’umanità intera, indipendentemente dalle diverse capacità culturali e recettive di ciascuno).

Dylan è sempre stato considerato (da noi per primi) un artista di difficile fruibilità, talvolta troppo intellettuale, troppo avanti, troppo evoluto per far breccia in un pubblico generalista. Questo disco riuscirà come nessun altro prima d’ora a dare al mondo una versione del folk nell’accezione più ampia di musica “popolare” e in questo, le sonorità western più standard agevoleranno l’impresa, specie laddove il gusto musicale “americano” è meno radicato, come  da noi in Italia. Ci riuscirà anche per la sua deliberata omogeneità stilistica, per quel cantare quasi sussurrato che non disturba, quel suonare soffuso che rende diverso questo disco rispetto al precedente  “Love And Theft” del 2001: quello era un disco più caleidoscopico, aveva una ritmica variabile (dal rockabilly al lounge jazz, dal rock di Honest With Me – qui del tutto assente – alla folk ballad di “Mississippi”), una vitalità diversa. Per questo motivo fu un disco che ha finito con accontentare alcuni e scontentare altri (c’è chi non gradisce le sonorità lounge jazz, chi non sopporta un rockabilly un po’ di maniera e che alla fine stanca … leggete Elio Rooster, che dice “non se ne può più di Summer Days”, etc.).

Anche questo disco, forse, tra qualche anno, ci sembrerà un po’ di maniera, forse dopo le prossime tournee, in cui vedremo la resa di questi brani sul palco. Va detto, infine, e per concludere, che le classifiche oggi non rispecchiano affatto i valori artistici in campo. Ho visto la classifica americana di Billboard, quella in cui Bob è al primo posto. Onore a Bob, ma vi prego, leggete i 40 nomi che ci sono sotto. Non c’è un artista decente nemmeno a pagarlo oro. Una pena. Quando uscivano i dischi folk (i “capolavori”, penso a “Subterrean Homesick Blues”, a “John Wesley Harding”, le classifiche dell’epoca erano da far impallidire qualsiasi produttore e artista e anche quei capolavori avrebbero fatto  fatica a imporsi in sette giorni, come è accaduto oggi a Modern Times).

Di fronte a un parametro così dubbio e squalificante come sono le classifiche di oggi, non ci conviene esultare troppo: quei capolavori restavano tali pur non riuscendo a scalare le Top Ten; quelli di oggi non lo sono per il fatto di essere in cima. Onore a Bob, comunque, e godiamoci, come sia, un disco che è senz’altro da vivere, anche se non ci cambierà la vita.

Giuseppe Basile © Geophonìe, 2006
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