23.08.1983. Midge Ure e Mick Karn

 

Corriere Del Giorno, 23.08.1983

Il fascino della coppia

Raggiunto ormai un livello artistico abbastanza elevato in campo musicale, gli artisti vanno a caccia di collaborazioni esterne ai gruppi di origine per poter guadagnare ulteriori interessi al proprio lavoro. Caratteristica di questi ultimi mesi dell’83 è la pubblicazione di numerosi singoli (se non, in qualche caso, di albums) prodotti in coppia.

E’ il caso di Sylvian con Sakamoto, di Marc Almond con Matt Johnson, e ora di Midge Ure degli “Ultravox” insieme con Mick Karn, ex batterista dei “Japan”. I due hanno recentemente pubblicato un 45 giri e un E.P. (extended play) dal titolo “After a Fashion” (ovvero “Dopo una moda”) dove uniscono le forze per un brano che ricorda non da lontano gli Ultravox. Ma, al di là dei soliti paragoni, la composizione raggiunge la perfezione, e troviamo elementi d’ascolto abbastanza godibili: basso e batteria elettronica in simbiosi e sempre alla ricerca di solide  ragnatele: e poi la voce sempre più matura di Midge Ure.

Il tutto è farcito di tanti piccoli  arrangiamenti veramente notevoli (solo a pensarci): violini, mandolini elettronici (nella versione E.P.) e percussioni che accentuano le origini e le influenze di  Mick Karn e dei suoi ex Japan.

In sostanza in un futuro queste collaborazioni probabilmente aumenteranno. E visto che in campo musicale sono state tentate tutte le miscele possibili, non resta altro che immaginare quali nuove collaborazioni salteranno fuori.

Ad ogni modo l’esito della coppia Ure-Karn è senz’altro positivo e non è difficile ipotizzare che il lavoro della coppia sia andato al di là di “After a Fashion”, tanto che forse un album verrò a completare il loro rapporto artistico sfociato in un’avventura in Egitto.

Dimenticavo: il 45 giro e l’E.P. sono per il momento importati e costituiscono due versioni leggermente differenti. Io ai casalinghi consiglio la versione a 45, mentre per chi debba farne uso in discoteca o per radio, la versione più lunga dell’E.P. In ogni caso è un disco da non perdere.

Marcello Nitti © Geophonìe

12.08.1983. Bill Nelson

 

Corriere Del Giorno, 12.08.1983

E’ tornato l’amore.

“Chimera”, un mini-ellepì di Bill Nelson

Vi ricordate dei “Be Bop de-luxe”? Nel pieno degli anni Settanta pubblicavano anno dopo anno lavori molto interessanti, un rock mai di plastica. Ma i Be Bop forse furono rei di non aver avuto una hit-song che li consacrasse. In questo gruppo militava Bill Nelson, cuore e cervello dei “B.B. de-luxe”, che adesso ritroviamo nelle vesti di primattore.

Nelson è un polstrumentista che spazia tra synths, chitarre e percussioni elettroniche con naturalezza. Va detto inoltre che tutti i brani sono cantati e composti da lui. I suoi lavori più convincenti rispondono al titolo di “The love tath whirls” (l’amore che accarezza), che comprendeva un altro album in omaggio con una libea composizione di “la bella e la bestia” da Jean Cocteau, e “Chimera”, l’ultimo lavoro, un mini-lp (vengono chiamati così perché includono 5-6 brani al massimo).

Questa produzione conferma la fantasia e la poliedria di Bill che attualmente ha stretto legami di collaborazione con Mick Karn, l’ex batterista dei Japan, e con Yukihiro Takahashi, già con la “Yellow Magic Orchestra”. Lo  sviluppo dell’elettronica non trova in Bill Nelson un sostenitore della periferia, ma piuttosto un valido ricercatore nella jungla delle sette note.

Partito per il Giappone dove ha lavorato appunto con Yukihiro Takahashi, ha notevolemtne arricchito il suo sound con leggerissime sonorità. Le sue realizzazioni sono continue affrescature dove i colori hanno le tinte del basso sinuoso e sensuale di Mick Karn o dei synths veloci e gentili di Bill. A ogni modo si tratta di albums che non incontrano un vasto favore di pubblico per la semplice ragione che non trovano una collocazione fra i prodotti di “largo consumo”.

Non si può non aggiungere, a questo punto, che meritano molta attenzione i video realizzati da Bill, in particolare “Flaming Desire”, forse uno dei migliori video mai prodotti in Inghilterra. Alcuni fotogrammi possono essere ammirati nella copertina di “Chimera”.

Marcello Nitti  © Geophonìe

14.04.1983. I Romeo Void, California

 

Da San Francisco ecco i benefattori del rock.

14.04.1983 Corriere del Giorno

E’ americano, è solido, dal sound ben definito.

Sorvoliamo l’oceano. In California troviamo una città, San Francisco, in continuo fermento. Forse la città più europea degli States, la città dei Jefferson Airplane, dell’acid rock e dei dimenticati hippies.

Oggi anche a San Francisco aumentano gli stili: bands elettroniche, numerosi gruppi punks e decine di gruppi rock che hanno trovato nell’etichetta “415 Records” un valido aiuto per essere conosciuti nel mondo.

I Romeo Void sono autori di un rock tipico americano, ma con in più la voce di Debora Lyall la quale caratterizza con il suo modo rap (a volte) il loro sound. Si sono fatti conoscere nel 1981 con la pubblicazione di “It’s a condition” con una splendida copertina in grigio, che faceva capire come il gruppo si orientasse su modelli diversi dagli stereotipi americani.

“Myself to myself” contenuta nell’album era il loro brano che più faceva presa dal vivo. Ma l’affermazione i Romeo Void l’hanno ottenuta lo scorso anno con l’uscita del secondo album “Benefactor”, solido rock americano: basso e batteria, cuore e polmoni, e il sax sicuro ed efficace.

In “Benefactor” troviamo “Never say never” pubblicata come singolo alcuni mesi prima, autentico inno del gruppo. Il brano fa il giro del mondo e adesso il gruppo è particolarmente conosciuto in Inghilterra.

Complessivamente il sound dei Romeo Void è ben definito. L’unico rischio che corrono è quello di ripetersi se si lasceranno andare a un successo improvviso.  Per chi ama ancora quei gruppi che suonano un buon rock, non certo alla “Saxon” o “Wishbone Ash” potrà trovare in questa band californiana un nuovo punto di riferimento.

Marcello Nitti©Geophonìe

03.05.1983 La poltrona di The The

03.05.1983, Corriere Del Giorno

 

Caro Johnson

E’ uscito “Perfect” con un’armonica in bella evidenza

Caro Matt Johnson, hai soltanto ventun anni e già occupi una comoda poltrona in questa caotica “new wave”. E sì, signori, il buon Matt ( o “The The”, se preferite), ha trovato la formula del successo immediato con l’impiego del minimo sforzo. Anche per lui è stato utile fare la conoscenza di Stevo, boss dell’etichetta “Some Bizarre”, il quale in soli sei mesi gli ha fatto pubblicare due singoli di una bellezza rara.

Tuttavia Matt aveva già proposto alcune sue composizioni, che non erano andate al di là dell’ascolto critico da parte degli addetti ai lavori. I risultati non erano stati assai soddisfacenti, e quindi Matt pensò bene di introdursi più saggiamente nella giungla discografica.

Stevo lo affidò alle cure dell’entourage dei Soft Cell (dei quali avremo modo di parlare), produttori e ingegneri, e fu così che andò in gestazione l’esordio di “Uncertain smile”, primo capolavoro di Matt Johnson. Il brano, pubblicato come E.P. e come 45 giri, era permeato da un incedere così caldo e pulito che fu subito un successo; grazie anche a un preciso ritmo che ne ha fatto poi un inno da discoteca.

La sorpresa in “Uncertain smile” veniva soprattutto dall’uso dello xilofono che, quasi in primo piano, dava una ventata di novità alla composizione, esaltata inoltre dalla giusta e riposante voce di Matt che andava a fondersi incantevolmente con l’insieme.

Come dicevo, i singoli erano due e ripetere il successo del primo appariva arduo. Tuttavia a febbraio è uscito “Perfect”, dove abbiamo trovato in bella evidenza l’armonica suonata da David Johansonn (ex “New York Dolls”) e quasi tutti gli ingredienti del trascorso “Uncertain smile”.

“Perfect” si pone indiscutibilmente come brano di successo, raffinato e, oserei dire, di lusso.

“The The” è diventato una realtà: molti lo imitano, mentre noi aspettiamo un album intero da ascoltare sotto il prossimo sole.

Marcello Nitti © Geophonìe

Astrid Hallén. Alla terza nuvola, continua avanti.

© Johan Ahlbom

Comprendere la propria attitudine e lavorarci con passione  è il valore che Astrid Hallén persegue per esprimersi interiormente nella recitazione. Un sogno, quello di recitare, che viene da lontano o, semplicemente, il vero desiderio, che in assoluta naturalezza è per Astrid esaltante, nel vivere questa bellissima avventura di essere se stessi cambiando pelle. Raggiungiamo Astrid in video chat per conversare di quello che sta diventando la sua professione e di come sono stati i suoi inizi nel mondo della recitazione. Astrid risponde dalla lontana Svezia e circondata da piante verdissime che sembrano darle linfa ed energia per il suo lavoro le chiediamo subito quanto ami recitare: Vogliamo parlare della tua personale esperienza nel mondo della recitazione?

© Johan Ahlbom

Recitare è il sogno della mia vita e la perseguo con dedizione. Voglio fare bene e la mia concentrazione è massima. Sento che è parte di me e non semplicemente un lavoro. Il mio impegno è volto a migliorarmi e a scoprire nuovi angoli nascosti di questa bellissima professione. Dedico il mio tempo a provare nuovi testi e a volte uso il mio telefonino per filmarmi e rivedermi. E’ importante capire dove recito meglio e in cosa devo migliorare. Astrid è svedese e naturalmente la conversazione si svolge in inglese. E’ molto attenta e scorgo una attenzione a spiegare per bene quello che lei vuole trasmettere anche dalla nostra semplice conversazione. Parlare del mio lavoro di recitazione è come spiegare un po’ come siamo fatti e voglio aggiungere che recitare per me è come esplorare un mondo nuovo. Inoltre si ha un contatto particolare con se stessi e quando studio un nuovo dialogo di una sceneggiatura è come immergersi in una nuova fantastica avventura. Chiedo ad Astrid quali sono stati i suoi primi passi nel mondo della recitazione e se ha sostenuto particolari studi:

© Tim Kristensson

Ho studiato in una scuola che si chiama Sinclair a Uddevalla  a 16 anni e lì ho imparato molto come recitare. Si recitava tutti i giorni e la mia forza di volontà ha fatto il resto. Posso dire di essere autodidatta anche se le basi le ho avute al Sinclair. A 16 anni ho incominciato a vivere da sola e a potermi concentrare su quello che veramente volevo studiare. Recitare. Continuando a dialogare con Astrid le chiediamo di coinvolgerci maggiormente nelle sue idee e opinioni riguardante il suo mondo della recitazione. Mi piace molto seguire il regista che mi consiglia e mi chiede, e nello stesso tempo cerco di improvvisare, considerandola come una sfida ad avere più forza interiore nello spingermi a capire le mie possibilità. Bisogna viverlo il momento, e metter fuori i propri sentimenti. E’ un gran momento in cui avviene un bellissimo contatto con me stessa. Sento come espandere la mia vita e renderla più grande e più intensa tutte le volte che recito.

© Anna Osk Erlingsdottir

Nel cuore della conversazione,  Astrid mi spiega che : Sai, trovo molta ispirazione nell’incontrare nuova gente con cui potermi confrontare sulle idee. E’ essenziale aprire dialoghi con mentalità differenti ed io in particolare lo trovo molto stimolante per il mio lavoro. Anche  leggere o vedere film accresce in me la fantasia e l’entusiasmo per esprimermi nella recitazione.

© Johan Ahlbom

E qui che Astrid da sola mi parla della sua esperienza più importante ….. La mia ultima esperienza di recitazione è stata quella di prestare la mia voce e la mia emozione di donna in un corto di Monica Mazzitelli. Una bravissima regista italiana che vive in Svezia e con la quale ho partecipato al suo “The Wedding Cake”. Sai, un corto a sostegno della condizione della donna nel mondo il cui tema è da me condiviso con molto interesse. The Wedding Cake ha avuto la sua anteprima mondiale in Islanda, al Reykjavík Feminist Film Festival, dove ha vinto il primo premio. Due settimane dopo c’è stato il debutto al più importante Festival del cinema scandinavo, il “Göteborg Film Festival” in Svezia. Sono poi seguite molte altre vittorie e nominations internazionali e questo è stato per me un’enorme soddisfazione. Aver potuto partecipare a questo progetto  e lavorare con la regista italiana è stato molto gratificante e in maniera inaspettata è arrivato anche il successo perché il corto ha vinto il primo premio al concorso del “Feminist Film Festival’s International Sister Competition” a Reykjavik.  Il mio incarico era di narrare con la mia voce la storia di una donna alle prese con le avversità della vita. Anche se sono stata solo la voce narrante, sentivo molto dentro di me il carattere del personaggio che dovevo interpretare e nello stesso tempo sapevo che il mio lavoro sarebbe dovuto arrivare alle donne del mondo affinché ricevessero solidarietà. Sicuramente uno dei ruoli più importanti che io abbia realizzato.

Astrid mi coinvolge con le sue parole e il dialogo diventa molto interessante quando affrontiamo l’argomento che riguarda la scena femminile nel cinema o nel teatro in Svezia. Sai Marcello, da quando il movimento #metoo è diventato globale c’è stato molto fermento nel mondo femminile della recitazione e anche da noi in Svezia ci sono molte nuove sceneggiature. Penso che stiamo vivendo un periodo intenso per l’interesse a portare sul palcoscenico o sullo schermo nuove storie, e soprattutto provenienti dalla realtà. Rimane sempre una realtà conservatrice nell’industria del cinema. I ruoli che mi hanno affidato sono quasi sempre molto femminili, come essere una moglie, o una fidanzata. Ho recitato in produzioni video musicali e i miei ruoli erano quelli tradizionali per una donna. Mi piacerebbe molto recitare in ruoli nei quali la donna ha una presenza forte e di comando o rappresentare uno strano personaggio femminile anche per crescere in nuovi ruoli.

Quindi recitando senti che la tua autostima cresce? Si può dire che recitare accresca sicurezza e determinazione? Penso di si. Perché no. Dai differenti ruoli che si interpretano, a poco a poco si impara sempre di più e l’autostima arriva quasi spontaneamente. Se il ruolo ha bisogno di una persona con autostima allora recitando quel ruolo io cresco e diventa qualcosa di unico dentro di me.

© Sean McLatchie Lewthwaite

Nel dialogare con Astrid non si poteva non conversare sui suoi preferiti nel cinema, registi e attori …. Mi piace molto vedere come recitano alcuni attori e tra i miei preferiti ci sono quelli che recitano sembrando se stessi,  mi piace anche vedere l’unicità di un set di come è stato preparato. Non gradisco scene già viste perché l’originalità nel cinema per me è importante. Ci sono molti film che si assomigliano e ovviamente preferisco nuove storie originali. Se sento di aver appreso qualcosa da un film allora posso dire che mi è piaciuto e che è un film importante per me e la mia carriera. Tarantino mi piace e anche Spike Jonze che ha diretto “Essere John Malkovich” che mi è molto piaciuto e ha diretto diversi video musicali. Tra le attrici Uma Thurman e non dimentico la bravissima Cate Blanchett. Auguro ad Astrid Hallén una splendida carriera e il sole che spunta dalle nuvole sembra essere di buon auspicio. La nouvelle vague del cinema Svedese si completa con questa interessantissima attrice.   Marcello Nitti © Geophonìe 27 Giugno 2020 Diritti riservati

Foto di copertina © Peter Gaudiano