
Corriere Del Giorno, 12.05.1983
Il monarca Nick Heyward ha deciso, fa tutto da sé
Dopo aver abbandonato il gruppo “Haircut 100”. E’ uscito il suo singolo “Whistle down in the wind”. Non mancherà la polemica risposta del gruppo.
Nome assai strano quello degli “Haircut 100”, che tradotto è pari a dire “taglio di capelli cento”. In ogni caso siamo ormai abituati a cotanta stramberia. Gli Haircut 100 hanno a tutt’oggi pubblicato un album e cinque singoli (1982). La loro musica era una miscela ben riuscita di vari stili musicali: samba, calipso, rock e pop, al punto da renderli unici e inconfondibili nei confini di quel sound.
Tutti brani di successo, tutti assai programmati in radio e in discoteca, ma, soprattutto, tutti firmati da Nick Heyward. Era lui in pratica il leader, l’archimede di quei successi e come solitamente accade ai monarchi assoluti – prima o poi sarebbe stato esautorato. La cronaca ci dice che mentre erano in corso le registrazioni di un secondo album Nick, giustamente, pretendeva che l’opera risultasse complessivamente di alto livello, senza limitarsi a produrre uno o due pezzi di successo e d’altro verso solo brani da dimenticare. Andò che l’egemonica presa di posizione di Nick sembrò tanto asfissiante che la realizzazione del lavoro fu interrotta (ma c’è ancora chi spera possa essere ripresa in coro). Nick salutando tutti lasciò il gruppo e si separò dal marchio “Haircut 100”, decidendo di seguire la propria strada.
A Londra, il Melody Maker e il New Musical Express hanno parlato a lungo di questa fronda da parte di Nick, non dimenticando di segnalare l’avvio quasi immediato del lavoro da solista dello stesso Heyward. Nick si fa accompagnare in studio da alcuni amici e, sorprendendo perfino i suoi vecchi “Haircut” prima ancora che essi si siano ripresi dalla sua perdita, pubblica il singolo “Whistle down in the wind”. Una pop song, stile Heyward al cento per cento. Mancano i fiati che lo hanno sempre contraddistinto: sono stati sostituiti però da un piano delizioso. E non c’è dubbio: la parte strumentale del brano è la più riuscita.
Non mancherà, crediamo, la risposta degli Haircut 100, che certo non hanno smarrito la voglia di successo. Anzi punteranno a far dimenticare l’esistenza di Nick ai suoi innumerevoli fans.
Marcello Nitti © Geophonìe

Corriere Del Giorno, 23.08.1983
Il fascino della coppia
Raggiunto ormai un livello artistico abbastanza elevato in campo musicale, gli artisti vanno a caccia di collaborazioni esterne ai gruppi di origine per poter guadagnare ulteriori interessi al proprio lavoro. Caratteristica di questi ultimi mesi dell’83 è la pubblicazione di numerosi singoli (se non, in qualche caso, di albums) prodotti in coppia.
E’ il caso di Sylvian con Sakamoto, di Marc Almond con Matt Johnson, e ora di Midge Ure degli “Ultravox” insieme con Mick Karn, ex batterista dei “Japan”. I due hanno recentemente pubblicato un 45 giri e un E.P. (extended play) dal titolo “After a Fashion” (ovvero “Dopo una moda”) dove uniscono le forze per un brano che ricorda non da lontano gli Ultravox. Ma, al di là dei soliti paragoni, la composizione raggiunge la perfezione, e troviamo elementi d’ascolto abbastanza godibili: basso e batteria elettronica in simbiosi e sempre alla ricerca di solide ragnatele: e poi la voce sempre più matura di Midge Ure.
Il tutto è farcito di tanti piccoli arrangiamenti veramente notevoli (solo a pensarci): violini, mandolini elettronici (nella versione E.P.) e percussioni che accentuano le origini e le influenze di Mick Karn e dei suoi ex Japan.
In sostanza in un futuro queste collaborazioni probabilmente aumenteranno. E visto che in campo musicale sono state tentate tutte le miscele possibili, non resta altro che immaginare quali nuove collaborazioni salteranno fuori.
Ad ogni modo l’esito della coppia Ure-Karn è senz’altro positivo e non è difficile ipotizzare che il lavoro della coppia sia andato al di là di “After a Fashion”, tanto che forse un album verrò a completare il loro rapporto artistico sfociato in un’avventura in Egitto.
Dimenticavo: il 45 giro e l’E.P. sono per il momento importati e costituiscono due versioni leggermente differenti. Io ai casalinghi consiglio la versione a 45, mentre per chi debba farne uso in discoteca o per radio, la versione più lunga dell’E.P. In ogni caso è un disco da non perdere.
Marcello Nitti © Geophonìe

Corriere Del Giorno, 12.08.1983
E’ tornato l’amore.
“Chimera”, un mini-ellepì di Bill Nelson
Vi ricordate dei “Be Bop de-luxe”? Nel pieno degli anni Settanta pubblicavano anno dopo anno lavori molto interessanti, un rock mai di plastica. Ma i Be Bop forse furono rei di non aver avuto una hit-song che li consacrasse. In questo gruppo militava Bill Nelson, cuore e cervello dei “B.B. de-luxe”, che adesso ritroviamo nelle vesti di primattore.
Nelson è un polstrumentista che spazia tra synths, chitarre e percussioni elettroniche con naturalezza. Va detto inoltre che tutti i brani sono cantati e composti da lui. I suoi lavori più convincenti rispondono al titolo di “The love tath whirls” (l’amore che accarezza), che comprendeva un altro album in omaggio con una libea composizione di “la bella e la bestia” da Jean Cocteau, e “Chimera”, l’ultimo lavoro, un mini-lp (vengono chiamati così perché includono 5-6 brani al massimo).
Questa produzione conferma la fantasia e la poliedria di Bill che attualmente ha stretto legami di collaborazione con Mick Karn, l’ex batterista dei Japan, e con Yukihiro Takahashi, già con la “Yellow Magic Orchestra”. Lo sviluppo dell’elettronica non trova in Bill Nelson un sostenitore della periferia, ma piuttosto un valido ricercatore nella jungla delle sette note.
Partito per il Giappone dove ha lavorato appunto con Yukihiro Takahashi, ha notevolemtne arricchito il suo sound con leggerissime sonorità. Le sue realizzazioni sono continue affrescature dove i colori hanno le tinte del basso sinuoso e sensuale di Mick Karn o dei synths veloci e gentili di Bill. A ogni modo si tratta di albums che non incontrano un vasto favore di pubblico per la semplice ragione che non trovano una collocazione fra i prodotti di “largo consumo”.
Non si può non aggiungere, a questo punto, che meritano molta attenzione i video realizzati da Bill, in particolare “Flaming Desire”, forse uno dei migliori video mai prodotti in Inghilterra. Alcuni fotogrammi possono essere ammirati nella copertina di “Chimera”.
Marcello Nitti © Geophonìe
Da San Francisco ecco i benefattori del rock.

14.04.1983 Corriere del Giorno
E’ americano, è solido, dal sound ben definito.
Sorvoliamo l’oceano. In California troviamo una città, San Francisco, in continuo fermento. Forse la città più europea degli States, la città dei Jefferson Airplane, dell’acid rock e dei dimenticati hippies.
Oggi anche a San Francisco aumentano gli stili: bands elettroniche, numerosi gruppi punks e decine di gruppi rock che hanno trovato nell’etichetta “415 Records” un valido aiuto per essere conosciuti nel mondo.
I Romeo Void sono autori di un rock tipico americano, ma con in più la voce di Debora Lyall la quale caratterizza con il suo modo rap (a volte) il loro sound. Si sono fatti conoscere nel 1981 con la pubblicazione di “It’s a condition” con una splendida copertina in grigio, che faceva capire come il gruppo si orientasse su modelli diversi dagli stereotipi americani.
“Myself to myself” contenuta nell’album era il loro brano che più faceva presa dal vivo. Ma l’affermazione i Romeo Void l’hanno ottenuta lo scorso anno con l’uscita del secondo album “Benefactor”, solido rock americano: basso e batteria, cuore e polmoni, e il sax sicuro ed efficace.
In “Benefactor” troviamo “Never say never” pubblicata come singolo alcuni mesi prima, autentico inno del gruppo. Il brano fa il giro del mondo e adesso il gruppo è particolarmente conosciuto in Inghilterra.
Complessivamente il sound dei Romeo Void è ben definito. L’unico rischio che corrono è quello di ripetersi se si lasceranno andare a un successo improvviso. Per chi ama ancora quei gruppi che suonano un buon rock, non certo alla “Saxon” o “Wishbone Ash” potrà trovare in questa band californiana un nuovo punto di riferimento.
Marcello Nitti©Geophonìe

03.05.1983, Corriere Del Giorno
Caro Johnson
E’ uscito “Perfect” con un’armonica in bella evidenza
Caro Matt Johnson, hai soltanto ventun anni e già occupi una comoda poltrona in questa caotica “new wave”. E sì, signori, il buon Matt ( o “The The”, se preferite), ha trovato la formula del successo immediato con l’impiego del minimo sforzo. Anche per lui è stato utile fare la conoscenza di Stevo, boss dell’etichetta “Some Bizarre”, il quale in soli sei mesi gli ha fatto pubblicare due singoli di una bellezza rara.
Tuttavia Matt aveva già proposto alcune sue composizioni, che non erano andate al di là dell’ascolto critico da parte degli addetti ai lavori. I risultati non erano stati assai soddisfacenti, e quindi Matt pensò bene di introdursi più saggiamente nella giungla discografica.
Stevo lo affidò alle cure dell’entourage dei Soft Cell (dei quali avremo modo di parlare), produttori e ingegneri, e fu così che andò in gestazione l’esordio di “Uncertain smile”, primo capolavoro di Matt Johnson. Il brano, pubblicato come E.P. e come 45 giri, era permeato da un incedere così caldo e pulito che fu subito un successo; grazie anche a un preciso ritmo che ne ha fatto poi un inno da discoteca.
La sorpresa in “Uncertain smile” veniva soprattutto dall’uso dello xilofono che, quasi in primo piano, dava una ventata di novità alla composizione, esaltata inoltre dalla giusta e riposante voce di Matt che andava a fondersi incantevolmente con l’insieme.
Come dicevo, i singoli erano due e ripetere il successo del primo appariva arduo. Tuttavia a febbraio è uscito “Perfect”, dove abbiamo trovato in bella evidenza l’armonica suonata da David Johansonn (ex “New York Dolls”) e quasi tutti gli ingredienti del trascorso “Uncertain smile”.
“Perfect” si pone indiscutibilmente come brano di successo, raffinato e, oserei dire, di lusso.
“The The” è diventato una realtà: molti lo imitano, mentre noi aspettiamo un album intero da ascoltare sotto il prossimo sole.
Marcello Nitti © Geophonìe