La band modenese, è alla vigilia della pubblicazione della propria prima fatica discografica, con cui finalmente dà alle stampe il frutto di due anni di sperimentazioni vissute on the road in Emilia e dintorni.
Riuscire a trasmettere un messaggio culturale in musica è impresa ardua. Specie oggi, tempi in cui il messaggio non è quasi richiesto, e la schiera dei musicisti che non ci provano nemmeno più cresce a dismisura.
Molti ormai suonano e basta, comunicano solo attraverso le note e le sonorità, e forse anche per questo difficilmente poi riescono ad elevarsi e differenziarsi dal magma, dall’orgia di suoni che ci avvolge rumorosamente.
Di musica in giro ce n’è sempre, e in abbondanza, più che in ogni altra epoca, e certo più del necessario. Ma di carisma, di magnetismo, sempre meno. Misteri della comunicazione.
Sfortunati i musicisti contemporanei, verrebbe da dire.
Negli anni ‘60 e ‘70 la ricerca del messaggio era così spasmodica che l’indagine sui significati finiva col travisare completamente il loro lavoro: se i contenuti e gli ideali erano carenti, o del tutto assenti, le intenzioni più improbabili le si andavano a ricercare anche laddove un artista non aveva neppure pensato di collocarle, nell’immagine di copertina di un disco, nel titolo “forse-volutamente-criptico”, nei versi, che venivano riletti e reinterpretati tra mille supposizioni, suggestioni e dietrologie.
La voglia di contenuti era famelica. Erano anni in cui la musica, oltre che forma di espressione artistica e prodotto commerciale, per molti era assurta a filosofia: se ne indagavano i significati più reconditi analizzando minuziosamente ogni traccia, cercando di carpire messaggi nascosti, stati d’animo degli artisti, ragioni e pensieri inespressi.
Il musicista, insomma, era una sorta di oracolo, e quel bisogno collettivo d’immedesimazione era tale da elevare la sua arte musicale sino a sovraesporla.
Oggi invece accade che se un musicista, oltre a suonare, si azzarda anche ad esprimere una qualche sua specifica idea, sulla vita e sul mondo, viene immediatamente percepito come invadente e importuno.
Perché dovremmo stare qui a sentirci una predica? Perché un musicista ritiene che a me, utente occasionale, possa importare qualcosa del suo punto di vista?
Ciò che in passato ci appariva un passaggio obbligato per gli artisti (costretti a dire qualcosa anche quando non avevano nulla da dire), oggi ci appare un gesto retrò, ridondante, non necessario, un’espressione di supponenza.
Non rendiamo allora un favore ai ROCKSPEL e al loro progetto se mettiamo sull’avviso il pubblico spiegando che la proposta artistica di questa band modenese è nata, e si è incentrata, partendo anzitutto dai contenuti. Se li presentiamo così, chi decidesse di andare ad assistere a un loro show potrebbe pensare di andare a sorbirsi una predica.
In realtà, si tratta essenzialmente di rock-blues, e di predica ce n’è ben poca. Anzi, troppo poca, perché per un progetto come quello che loro perseguono, qualche parola in più proferita dal palco ci starebbe.
E’ una strana alchimia, quella dei Rockspel, perché nasce da una storia originale che non siamo abituati a sentirci raccontare.
Una chiesa protestante carismatica di Modena, “Gesù fonte di acqua viva”, che fa capo al Kingdom Faith ad Horsham nel Sussex , utilizza la musica come strumento cardine dei propri culti. Una funzione religiosa può ben arrivare a ricomprendere più ore di canto e di musica. “La nostra chiesa ha un palco predisposto per musicisti e cantanti”, dice Grazia Mimmo, lead singer dei Rockspel, “perché la musica nel nostro culto ha un ruolo assolutamente centrale. Si comincia con essa per lodare Dio e si continua utilizzandola come strumento di adorazione, sino a una comunione profonda con Lui. Al di fuori del culto la musica si utilizza anche come veicolo di evangelizzazione”
Sembra un’ambientazione da film americani, superficialmente ti verrebbe da pensare alle caricaturali performance dei Blues Brothers, e a tutti quegli Halleluja che i grandi rockers degli anni 50 e 60 proferivano dal palco al termine di ogni indiavolata canzone, tra ancheggiamenti, piroette, balli scatenati e cori. Ma quelle sono note di colore tipicamente cinematografiche, la realtà non è certo così. Vero è che nelle chiese protestanti le proposte musicali sono più “disinibite” e libere da cliché, con modalità magari più varie rispetto alla cantata piatta e da sottofondo delle chiese cattoliche, talvolta con maggiore ricerca sonora e vocale e diverse influenze. “Nei nostri concerti facevamo gospel classici”, continua Grazia, “e quindi, anche se questo ci consentiva di esibirci in giro, d’altra parte però ci limitava alla sola frequentazione di certi circuiti, teatri, piazze, in periodi dell’anno particolari come a Natale, e sempre nell’ambito di manifestazioni specifiche”. La musica che si produce nelle chiese protestanti, infatti, è per sua natura più esportabile, più votata all’esterno, di solito è anche più godibile dagli utenti: ma se resta solo nell’ambito del gospel classico rischia di svilupparsi secondo schemi abbastanza fissi e ripetitivi.
“Avevamo voglia di proporre e suonare musica cristiana”, spiega allora Valerio Corvino, batterista e coniuge, “ma per entrare in un circuito diverso, quello dei pub e dei club, per introdurre il nostro background gospel dovevamo rielaborarlo in un linguaggio musicale adatto a questo tipo di posti e di pubblico. Abbiamo sempre cercato uno spazio rock blues per la nostra comunicazione artistica: è stato così che abbiamo deciso di portare il gospel sulla nostra strada”.
Il gruppo si forma a Modena nel 2009 e gravita nell’orbita della Contemporary Christian Music, movimento socio-musicale di respiro internazionale poco presente nel panorama italiano.
“Nel mondo anglosassone il tema religioso è preponderante nei contenuti, nei testi e nell’ispirazione musicale: si parla di Dio senza inibizioni”, continua Grazia. “Un musicista spagnolo mi fece notare come nel mondo neolatino sia rarissimo che un autore affronti apertamente temi religiosi. E mi raccontò di aver avuto successo con un brano in cui parlava di amore per Dio, senza però mai nominarlo. Il brano sembrava scritto per la sua ragazza, questo perché nei circuiti musicali commerciali del suo Paese nominare Dio costituiva una sorta di tabù”.
I Rockspel, insomma, decidono di portare sul palco composizioni rockettare ma d’insospettabile vena religiosa e di ambiente gospel, divulgando nomi e storie a noi lontane.
Il loro è uno spettacolo che narra un’evoluzione, un viaggio.
“When The Saints go marchin’ in” – suonata dai Rockspel a ritmi forsennati con chitarre lancinanti tali da destrutturare il brano – “era una composizione usata nei funerali jazz di New Orleans a fine ‘800 e riprende molte delle sue immagini dall’Apocalisse di Giovanni”, spiega Grazia. “La presenza di segni cosmici citati nel testo (il sole che smette di brillare, la luna che si muta in sangue, le stelle che cadono, ecc.) anticipa il ritorno del Messia. Il rito della sepoltura è dunque il luogo più adatto per celebrare la fede nella risurrezione e nell’instaurarsi del regno di Cristo, così al dolore per la scomparsa dell’amico, si associa la gioia per il suo avere raggiunto la propria casa nel cielo e il desiderio di condividere la stessa meta”.
Viaggiamo sulle orme di coloro che prima di noi se ne sono andati
Ma saremo riuniti in una spiaggia nuova e soleggiata
Qualcuno dice che questo mondo di problemi è il solo di cui abbiamo bisogno
Ma io sto aspettando, sì io sto aspettando il mattino
In cui il nuovo mondo sarà rivelato.
Oh quando i santi marceranno
Oh quando i santi marceranno
Oh Signore io voglio essere dei loro
Quando i santi marceranno
I contenuti religiosi del brano perdono d’intensità già nella versione storica di Louis Armstrong, che con la sua allegra interpretazione vocale e trombettistica ti distoglie dal senso del testo. I Rockspel fanno anche di più. La loro è un’interpretazione dark rock, con cambi di ritmo, lente atmosfere intervallate a momenti di noise chitarristico che, anzi, forse restituiscono al testo un pathos quasi assente nelle versioni in stile New Orleans. La religiosità, attenuata dall’interpretazione americana in forma di allegra marcetta, qui non si coglie nemmeno più, se non ci fossero le parole di Grazia Mimmo a restituirci i contenuti del brano. “La sezione lenta è quella che riporta una sorta di riflessione esistenziale sul significato della vita terrena per un cristiano. Il ritornello assume invece un ritmo incalzante che nelle nostre intenzioni vuol quasi esprimere il desiderio di costringere i tempi ad abbreviarsi, per poter “marciare coi santi”, al di fuori ormai della dimensione terrena stessa”.
La Contemporary Christian Music in fondo è proprio questo: una forma di comunicazione attraverso linguaggi sonori liberi e attuali. Non c’è alcun disagio negli artisti americani di questo movimento a mutuare stili e forme espressive dei giorni nostri, anche le più commerciali e scontate, per esprimere concetti religiosi. I suoni, infatti, sono tipici delle produzioni odierne: circostanza, questa, che un po’ fa storcere il naso a chi per cultura e sensibilità religiosa è abituato a non mescolare tanto facilmente argomenti religiosi a sonorità da spot televisivo.
Per capire occorrerebbe un rapido ascolto.
Rebecca Saint James, ad esempio, è la tipica ragazza della provincia americana, jeans, camicia bianca e gilet, che canta temi religiosi: lo fa con uno stile assolutamente pop-rock e con i suoni che siamo abituati a sentire nel pop commerciale di oggi. Può assomigliare alla nostra Elisa dei suoi primi dischi, non tanto vocalmente, ma talvolta, forse, per il tipo di sonorità (o di produzione).
“God Help Me” – http://www.youtube.com/watch?v=huyHrNxfu3Y
“I Will Praise You” – https://www.youtube.com/watch?v=EYBvrAAN5o0
“Breathe” – https://www.youtube.com/watch?v=tTI8HpyDbeE
“Alive” – http://www.youtube.com/watch?v=vdw5cvj5aws
Gli Switchfoot sono invece una band più marcatamente rockettara, con i suoni roboanti del post grunge e le vocalità dei musicisti di questi anni. A un primo superficiale ascolto la voce del leader talvolta rievoca il cantato di Chris Martin dei Coldplay, talaltra fa pensare agli Oasis e ai Radiohead, e le sonorità sono una mescolanza di pop-rock del trascorso decennio
“Always” – http://www.youtube.com/watch?v=gUV6z_uUpQM
“Only Hope” http://www.youtube.com/watch?v=xWvtqFddh8k
“Afterlife”- http://www.youtube.com/watch?v=j6z-H3_hgEU
“You” – http://www.youtube.com/watch?v=qYAAAr5-qkw
“I Dare You To Move” http://www.youtube.com/watch?v=nsSR4VrmsRY
“Dark Horses” – http://www.youtube.com/watch?v=5_5oE0ijhKg
“Meant To Live” – http://www.youtube.com/watch?v=632skZgCTJU
Questa band, obiettivamente, incuriosisce per la varietà dei temi religiosi che affronta. Nel brano “Something More” riesce a mettere in musica nientemeno che le confessioni di Sant’Agostino. “Non so perché qui in Italia siano viste come un mattone per eruditi”, dice Grazia “mentre invece i giovani cristiani anglosassoni ne fanno un punto di riferimento”.
“Something More” – http://www.youtube.com/watch?v=EKgxMl1-hXs
Lascia stupiti il modo disinvolto e diretto con cui questi artisti parlano di certe tematiche, con un linguaggio per noi persino troppo semplice, tanto da apparire superficiale e scontato, per quanto sincero. “Ma questo è un problema comunicativo tutto nostro, tutto italiano”, continua Grazia. “In Italia Celentano riuscì a cantare “Pregherò” perché aveva una casa discografica sua. Da noi non si usa parlare così. Ti viene in mente qualche canzone esplicitamente religiosa nella musica italiana?”.
Jeremy Camp invece si attesta tendenzialmente sullo stile della ballata rock, più intimistico anche come sonorità. Leggendo sul web scopriamo che si tratta di uno dei più premiati musicisti della Contemporary Christian Music, con successi commerciali di enorme portata nel mercato interno americano, numerosi hits, nominations ai Grammy e riconoscimenti.
“Take my Life” http://www.youtube.com/watch?v=pReDCK5OjME
“My desire” http://www.youtube.com/watch?v=tMHH-Lvv5K8
“The Way” http://www.youtube.com/watch?v=f5CF9OJRKkA
Michael Sweet, invece, è più tradizionale nel suo rock blues tipicamente americano. Il suo brano “Ticket To Freedom”, che i Rockspel spesso eseguono come cover, ha il profumo rievocativo di stili “classici” alla Creedence Clearwater Revival (nella loro celebre “Proud Mary”), Steve Miller Band, Allman Brothers Band. I Rockspel illustrano il contenuto dei suoi testi e spiegano che il biglietto per la libertà è la Fede, quella che ti consente di intraprendere il viaggio.
Fai le valigie andiamo via
Forse domani, forse oggi
Sto venendo per te
Conosco un posto che è unico nel suo genere
E’ lontano, ma facile da trovare
Ho pagato in anticipo, c’è solo una cosa che tu devi fare
Vai alla stazione e dì loro
Che stai ponendo la tua fede in me
Dì loro che hai aperto il tuo cuore
Digli che credi, allora avrai ciò che ti serve
E se la vuoi, devi prenderla
Perché senza di essa non ce la farai
Meglio sbrigarsi, stiamo partendo
Prendi il tuo biglietto di sola andata per la libertà
Ho lavorato tutti i giorni
Costruire una casa dove voglio stare
Sangue, sudore e lacrime sono andati in ogni fotogramma
Su un’alta collina così lontana
L’atto è in tuo nome e il mutuo è pagato
Pagato in anticipo, c’è solo una cosa che devi invocare
Niente accade facilmente
Niente nella vita è gratuito
Ma ti darò qualsiasi cosa
Se mi amerai incondizionatamente
“Le cover sono utili al nostro spettacolo”, dice Valerio, “servono a introdurre dei brani composti da noi, ma non sono uno specchietto per le allodole: ci aiutano anche a narrare un’evoluzione e un viaggio di un genere musicale che ruota intorno ai testi e che attraversa stili fra loro diversissimi”.
“Il vero problema è trovare la collocazione giusta per il nostro tipo di spettacolo”, conclude Grazia. “Bisogna tenere conto degli spazi disponibili, delle aspettative dei locali che ci ospitano, e ovviamente del pubblico. A volte non c’è la possibilità di parlare quanto davvero occorrerebbe, e quindi si fa fatica a spiegare adeguatamente il nostro progetto”.
Non si può, insomma, degenerare nel concerto “didattico”, in una sorta di saggistica.
Comunicare, però, talvolta aiuta, specie ora che nessuno lo fa. E chissà che non sia proprio questo narrare a fare la differenza, e a suscitare quella curiosità che oggi, un pubblico pigro e sazio, non avverte più.
“Stiamo preparando la nostra prima uscita discografica per Natale”, dicono i Rockspel (Emilio Pardo, napoletano, chitarra; Alberto Berna, torinese, chitarra; Paolo Tavernari, modenese, basso; Grazia e Valerio, originari di Foggia, voce, batteria e percussioni). “Rispecchierà un po’ i nostri concerti, con una sintesi del lavoro svolto sinora, ma limitatamente ai Gospel tradizionali riarrangiati nel nostro stile. Per il live invece stiamo sperimentando momenti acustici e nuove idee. L’unico problema è il tempo a nostra disposizione, sempre tiranno”.
Approfondimenti:
I Rockspel: http://www.rockspel.com/
Kingdom Faith ad Horsham: www.kingdomfaith.com
Altra band di riferimento sono i Salvador, musicisti di stampo prevalentemente funky latino. La loro “Shine” è un brano che si lascia maggiormente andare alle sonorità pop.
Salvador, “Shine” – http://www.youtube.com/watch?v=T0LxeHkELAU
I Petra hanno fatto la storia della contemporary christian music e sono considerati un emblema più che trentennale del rock cristiano. “Enter in” è vangelo “zippato” in un brano rock.
Petra, “Enter In” – http://www.youtube.com/watch?v=wZs-tHDawb4
Altro tributo imprescindibile va ai DC Talk, trio che parte nel 1987, conquistando grammy awards come rock band cristiana, ed esportando le proprie proposte oltreoceano, Italia compresa.
DC Talk,“Consume Me”– http://www.youtube.com/watch?v=ZnmgH00mD5o
Interessanti anche i loro esperimenti di fusione con l’hip hop.
DC Talk, “Jesus Freak” – http://www.youtube.com/watch?v=lYH9FUfCKPI
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